A otto anni, Beth Harmon sembra destinata a un'esistenza squallida come l'orfanotrofio in cui è rinchiusa: sola, timida, bruttina, dipendente dai farmaci, terrorizzata da un mondo che non capisce e che non fa nulla per capirla. Finché un giorno si trova davanti una scacchiera. Gli scacchi diventano per lei non soltanto un sollievo, ma anche una speranza: schemi di gioco come la Difesa Siciliana e il Gambetto di Donna ("The Queen's Gambit" è proprio il titolo originale di questo romanzo) sono le armi con cui comincia a farsi prodigiosamente strada nei tornei e nella vita. Ma se da una parte la sua precoce ascesa all'olimpo scacchistico la porta ad affrontare, a soli diciassette anni, il campione mondiale, la maestria di giocatrice non basta a liberarla dalla paura, dalla solitudine e dalle tendenze autodistruttive. Un ritratto femminile, una storia che vibra di suspense, un atto d'amore verso il gioco più nobile e spietato: "La regina degli scacchi" è l'ultimo romanzo di uno scrittore che è riuscito a narrare come pochi altri l'alienazione, la speranza e il riscatto.
La Recensione
E' un romanzo particolarmente avvincente, che riesce a tenere desta l'attenzione dei lettori come pochi altri dall'inizio alla conclusione. Conoscere il gioco degli scacchi non è indispensabile, così come nel romanzo L'arte di vivere in difesa si può ugualmente apprezzare la storia pur non sapendo niente di baseball.
Il raffronto fra i due libri non è stato fatto per caso. Per quanto possa sembrare strano, gli scacchi sono uno sport a tutti gli effetti (in Italia una disciplina affiliata al CONI) e, come tale, soprattutto se praticato ai più alti livelli, necessiterebbe di allenamenti fisici. Non per niente molti giocatori di scacchi sono anche atleti e sarebbe poco saggio affrontare un torneo di nove partite senza un'adeguata preparazione fisica. Di questo se ne renderà conto anche la protagonista de La regina degli scacchi, via via che la sua bravura la porterà a scontrarsi con giocatori sempre più esperti, dovendo accrescere la propria resistenza e concentrazione.A differenza di altri libri di Tevis, come Lo spaccone, L'uomo che cadde sulla terra e Il colore dei soldi, da questo romanzo non è stato tratto alcun film. Forse perché si ritiene che il gioco degli scacchi sia troppo lento per essere avvincente o perché il pubblico è poco interessato a questo gioco? Non mi pare che in Italia ci sia una grande tradizione scacchistica, ma forse dipende dal fatto che non abbiamo mai avuto campioni del mondo italiani e non c'è niente di meglio di una buona pubblicità nazionale per stimolare l'emulazione.Il titolo inglese del romanzo, The Queen's Gambit, è più particolare ma, nell'edizione italiana, si è preferito modificarlo nel più generico e banale La regina degli scacchi, facendo sorgere il sospetto che il pubblico dei lettori italiani sia considerato piuttosto ignorantello in questo campo.Nell'Europa medievale gli scacchi erano un simbolo dell'amor cortese e rimasero un passatempo cui si dedicarono uomini e donne giocando fra loro. A partire dal sedicesimo secolo il gioco divenne una specie di scienza e quindi appannaggio dei maschi. Nella nuova società il ruolo della "vera" donna era quello di attendere al focolare domestico e mal si conciliava con competizioni intellettualistiche. Il maestro di scacchi Jan Hein Donner, ancora nel recente 1968, affermava che le donne non potessero eccellere negli scacchi in quanto mancanti di intuizione. L'ungherese Laszlo, volendo sfatare questa diceria, assoldò i migliori maestri di scacchi per le sue tre figlie. Zsuzsa fu la prima donna ad ottenere il titolo di Grande Maestro assoluto, Zsofia vinse a quattordici anni il torneo internazionale di Roma e Judit è tutt'ora la più grande giocatrice dei nostri tempi e l'unica donna che, nel 2005, riuscì a competere per il titolo assoluto di campione del mondo.A prescindere da questa digressione scacchistica, si segnala che La regina degli scacchi non si dilunga a raccontare le vicende dei vari personaggi, come avviene appunto in L'arte di vivere in difesa, ma è tutto concentrato sulla protagonista, l'orfana bruttina ma talentuosa Elisabeth Harmon. In entrambi i romanzi i protagonisti, ad un certo momento della loro carriera, subiscono una crisi psicofisica con conseguente abbandono del gioco e successivo, per quanto difficile, recupero del proprio equilibrio. Nel caso di Beth, la sua temporanea debacle avviene soprattutto per l'eccesso di droghe (era intossicata dai tranquillanti somministrati ancora nel periodo trascorso nell'orfanotrofio) e alcool. Sarà la quasi-amica Jelene, una ragazza di colore con lei nell'orfanotrofio, che riuscirà a farla disintossicare in tempo per partecipare al più importante campionato di scacchi. E' questo l'unico punto del romanzo dove si nota una forzatura. Appare abbastanza inverosimile che Beth, ragazza solitaria e spigolosa, che non si era mai preoccupata da quando era uscita dall'orfanotrofio di contattare i suoi compagni, riceva l'aiuto di un'amica che, guarda caso, aveva appena acquisito proprio un diploma nella specializzazione adatta ad aiutarla a disintossicarsi e rafforzarne il fisico. E, soprattutto, che si presti ad aiutare l'ex compagna.Tevis è riuscito a disegnare un eccezionale ritratto femminile, con le sue paure, le sue nevrosi, le sue irrazionalità. Elisabeth Harmon è una ragazza estremamente bisognosa di affetto, ma la sua scontrosità e la sua intelligenza risultano un ostacolo pressoché insormontabile in campo sentimentale. Gli unici uomini con cui verrà in contatto saranno quelli come lei impegnati negli scacchi. Persone estremamente competitive che mal si adattano a perdere, soprattutto quando a vincere è una donna giovane, perché, sottolineiamolo, questa storia finisce quando Beth raggiunge il diciannovesimo anno. Ciò che caratterizza maggiormente la sua figura è quindi la solitudine. Nel romanzo si racconta che Elisabeth viene adottata a dodici anni da una coppia di mezza età, quando ormai non pensava più che potesse accadere. Nonostante l'adozione fosse voluta solo per ricevere il contributo di mantenimento previsto dallo Stato, invece che per desiderio di un figlio, lei si affeziona alla madre adottiva e rimane accanto alla donna fino alla sua morte, cinque anni più tardi, mentre il padre, invece, esce subito dalle loro vite per riapparire solo per reclamare l'eredità della moglie.Non c'è mai nel romanzo una descrizione fisica completa dei personaggi, che vengono indicati solo per qualche caratteristica peculiare: c'è il giovane con bei capelli, quello con i brutti denti, l'anziano distinto, il campione del mondo russo possente e dalla espressione impenetrabile. Anche della protagonista si viene a conoscere poco, solo che era piuttosto bruttina da piccola, pur se crescendo il suo aspetto migliorerà. Tuttavia le descrizioni dei personaggi del romanzo non sono essenziali, ciò che conta sono le impressioni, lo spasimo della concentrazione nella ricerca della vittoria, la delusione dei perdenti.Tevis avrebbe voluto dare un seguito a questo romanzo, come aveva fatto per Lo spaccone con il sequel Il colore dei soldi, ma le circostanze glielo impedirono."La regina degli scacchi" è a mio avviso un romanzo migliore de L'arte di vivere in difesa, che risulta eccessivamente dispersivo per le digressioni sui personaggi minori. Ma quello di Horbach era il romanzo d'esordio, mentre quello di Tevis è stato il suo penultimo (quinto su sei) ed è logico che dimostri una maggiore coerenza logica e maturità.
Giudizio:
+4stelle+ (e mezzo)Articolo di AntonioDettagli del libro- Titolo: La regina degli scacchi
- Titolo originale: The Queen's Gambit
- Autore: Walter Tevis
- Traduttore: Angelica Cecchi
- Editore: Minimum fax
- Data di Pubblicazione: 2007
- Collana: Minimun classics
- ISBN-13: 9788875211318
- Pagine: 391
- Formato - Prezzo: Brossura - Euro 11,50