Magazine Diario personale
Siamo appena fuori dal centro e chiamare un taxi non è facilissimo, ma prima o poi riusciamo a raggiungere la Casa de la Musica. Il gruppo non è male, ma l'ambiente è buio e freddo. Mentre sono fuori in strada a fumare, attacca bottone questo ragazzo che mi mette in guardia da quei personaggi che mi si avvicinano perché vogliono ottenere qualcosa da me. Anche lui - mi racconta - un tempo era così, ma adesso che ha fatto fortuna mi può addirittura offrire una birra. Brindiamo alla sua conversione - e soprattutto alle sue amiche che gli mandano i soldi dall'Europa.
Usciamo a piedi, passiamo davanti alla Cattedrale e raggiungiamo la Casa de la trova, un posto molto più accogliente, luminoso, con una lunga balconata e la gente già su di giri. Io me ne sto buona buona al bancone, mentre le amiche conoscono un paio di validi negroni che ci portano ad un concerto in una piazza nei paraggi: poiché qui non ci sono praticamente turisti, posso rendermi conto che il colore di pelle predominante è diventato sempre più scuro man mano che ci spostavamo dall'Avana all'Oriente. Nonostante questo, a Cuba ci sono molti meno neri rispetto alle altre isole delle Grandi Antille, poiché qui non ci sono mai state grandi piantagioni in cui impiegare gli schiavi africani.
Al mattino raggiungiamo il CASTELLO DEL MORRO, una bellissima fortezza spagnola risalente al 1600. La posizione fa sì che si possa godere di una stupenda vista sul mare e sul cayo Granma che sta di fronte, attraverso i ritagli delle finestre e delle feritoie con i cannoni davanti. Dentro c'è un museo sulla pirateria che ci illustra la differenza tra pirati, filibustieri, corsari e bucanieri, tutti personaggi con cui questa città ha avuto a che fare per lungo tempo.
HOSPITALARIA HOY
Il pomeriggio è dedicato alla città di Santiago: rebelde ayer, hospitalaria hoy, HEROICA SIEMPRE, come avvertono i manifesti. Dalla cattedrale si giunge al porto, percorrendo vie in discesa ripida, con sosta presso una casa privata che forse è anche un paladar (fatto sta che ci vendono un paio di birrette). Comodamente seduti all'ombra in questo terrazzino con stupenda vista mare, facciamo conversazione con il padrone di casa che ci racconta come funziona il mercato nero: il pesce e il manzo - monopolio dello Stato - praticamente sono inavvicinabili, dati i prezzi, mentre del pollo e del maiale, più economici, ne hanno le tasche piene. E anche in merito al fabbisogno nazionale non si scherza: sono costretti ad importare anche cibi di base come il riso.
Ci spingiamo attraverso il quartiere francese fino alle zone più popolari. E' la vigilia di Capodanno e gli abitanti lavano le auto (chi le ha), ballano per strada, arrostiscono maialini da latte in ogni dove e fanno la fila per comprare birra alla spina. Il cubano è sempre in coda: loro hanno la libreta che sarebbe la tessera con la quale lo stato, a prezzi molto bassi, gli vende alcuni prodotti. Le quantità e la scelta di tali beni di prima necessità lasciano molto a desiderare (e a quanto pare anche i tempi di consegna). Per quanto giustamente si lamentino di tutti questi fattori negativi, grazie alla libreta la gente non muore di fame, come accade altrove.
Dal centro mi avvio a piedi in albergo; ho voglia di camminare senza fine e senza scopo, guardandomi intorno. Quasi giunta a destinazione, vengo inavvertitamente accalappiata dal giovane guardiano dello zoo più triste della terra. Lui e il suo collega mi mostrano questi poveri animali ingabbiati, che pare che non se la passino benissimo (soprattutto i leoni, che hanno la fossa vicina alla mia stanza, e lanciano delle urla da film dell'orrore, che già la notte precedente mi avevano fatto venire brividi su tutto il corpo). Il guardiano mi spiega che fanno così perché sentono l'odore dei maialini arrostiti in ogni dove e gli viene l'acquolina in bocca. Questo ragazzone ha poco meno della mia età e ha già un figlio ventenne, dice che loro fanno tutto in fretta e furia.
Ordino un refresco al tavolino vicino alla piscina dell'hotel. Un gruppo di italiani sta festeggiando rumorosamente il nuovo anno all'orario italiano (sono infatti le sei di pomeriggio). L'attempato bagnino si avvicina con cortesia e come ormai è abitudine entro cinque minuti è innamorato perso. Mi spiega che la sua sofferenza è di non potermi invitare a cena, perché non potrebbe permettersi di pagare il conto. Tutti in questo Paese preferiscono lavorare a contatto con i turisti perchè le mance, anche le più irrisorie, per loro sono superiori alla paga di una giornata di lavoro. Il paradosso è che un insegnante guadagna molto di più se fa il lavapiatti.
"Cenone" al paladar, dove ordino il cerdo per sentirmi in linea con la tradizione, senza preventivare che quella carne dura e immangiabile non avesse nulla a che fare con quei succosi maialini che avevo visto girare su se stessi per tutto il giorno. Per l'ultimo dell'anno è allestito un sontuoso concerto nella Piazza centrale. Sulla terrazza dell'hotel Casagranda (dove alloggiava Graham Greene mentre scriveva Il nostro agente all'Avana), oltre agli avanzi del cenone, è spiaggiato un triste repertorio di facce sfatte di turisti anglosassoni che indossano ridicoli cappellini, trombette e stronzate analoghe. Poiché non siamo cubani, possiamo andare a berci un paio di piña colada al bancone in tutta tranquillità. A mezzanotte esplodono i fuochi d'artificio.
Alla Casa de la trova chiacchiero con il nipote di Ibrahim Ferrer (il cantante dei Buena Vista Social Club dagli occhietti vispi e la voce flebile, che ebbe successo a tarda età), bevo un paio di drink e poi, come capita a tutti i turisti, vengo abbordata. Questo mulatto qui si chiama Angelo, ma lo hanno soprannominato Leonardo poiché, oltre ad essere un pittore, è anche un inventore come Leonardo da Vinci. I negri sono eccessivi in tutto - si lamenta - non sono raffinati. Angelo se ne vuole andare da Cuba, e io gli dico che sono sicura che cambierà presto la situazione, anche se sinceramente non so se il cambiamento sarà per forza una cosa positiva. Naturalmente dopo manco cinque minuti è innamorato anche lui a prima vista. E dunque te quiero, te deseo e - in poche parole – sono già pronte le bomboniere. E qui il problema è serio perché questi cubani sono davvero di una dolcezza disarmante a cui non siamo più abituati e qualcuno ci crede davvero di essere amato per l'eternità.
Non si sa come, ma riusciamo a raggiungere l'habitacion con un taxi abusivo, che poi è il solito carro rosso degli anni Cinquanta, che da fuori è stato riverniciato tante di quelle volte che è sicuramente diventato più voluminoso di quello che era, ma dentro è un ammasso di ruggine e pezzi ricavati da chissà quali altri mezzi meccanici che per la grazia di dio si tengono ancora assieme.
CENT'ANNI DI SOLITUDINE
Oggi ci attende l'ultima tappa: BARACOA, la capitale del cacao, che occupa la punta più orientale dell'isola.
E' faticoso spingersi fin qui ma il paesaggio è sicuramente il più piacevole paesaggio tropicale che io abbia mai visto fino ad oggi. Superata Guantanamo, fuori dal finestrino cominciano a scorrere i cactus, i palmeti e le coste scoscese (uguali a quelle del Gargano) della costa Imías finché si è costretti a tagliare nell'interno percorrendo la serpeggiante strada La Farola (A caballo vamo’ pa’l monte, a caballo vamo’ pa’l monte). Man mano che ci si avvicina, la vegetazione diventa sempre più verde brillante di palme da cocco, banani, mango, guaiava, caffè e cacao.
Baracoa fu la prima capitale cubana quando Diego Velazquez arrivò dalla Spagna nel 1511 ed è rimasta isolata dal resto dell'isola per circa 450 anni. Poiché sorge su un promontorio, infatti, fino agli anni ’60 era raggiungibile solo via mare ed è tuttora circondata da una giungla rigogliosa. A molti ha fatto pensare a Macondo, il favoloso villaggio immaginato da Garcia Marquez nel suo romanzo Cent'anni di solitudine.
Arriviamo a mezzogiorno e ci sistemiamo presso la casa particular di Rafael e Yasmine. A lui in paese lo chiamano El Gordo a causa della sua enorme stazza, e quando lo dicono allargano un po' i gomiti. Lei si chiama Yasmin perché negli anni '70 andavano di moda i nomi di donna che inizano con la Y. Entrambi al momento hanno lasciato i loro precedenti lavori e si occupano solo della casa, per cui si sono specializzati nella cucina e nella preparazione di cocktail: el Gordo - si autopubblicizza - prepara il miglior mojito che abbiamo mai assaggiato in vita nostra. ¡No me digas!
Tempo di mettersi il costume e si va alla PLAYA MAGUANA, a circa 20 km. Sulla strada si apprende che c'è una fabbrica di cioccolato fondata dal Che in persona. La spiaggia è bianca e palmosa, non ci sono strutture di cemento che la rovinano e il mare è ottimo per un bagnetto. Peccato i tedeschi alcolizzati e sbruffoni che frequentano il bar, le scrofe che ficcano il muso negli zaini rubando pacchi di crackers interi e pisciano sugli asciugamani, i cani randagi e i venditori di noci di cocco, oggetti in legno, cacao, pesce e quant'altro, che non ti lasciano un minuto in santa pace. Al calare del sole raccattiamo le nostre cose e ce ne torniamo in città.
Si è capito che la cena in casa è sempre la miglior soluzione: in grandi quantità ci servono zuppa di fagioli, filetto de peccao, insalata di pomodori lattuga e cavolo, banane fritte e postre.
Il dopocena comincia alla Casa de la trova, piccola ma molto accogliente e movimentata, dove si alternano concerti dal vivo sin dal pomeriggio. Poi seguo questo tipo - amico dell'autista - col cappellino a visiera e la collana invadente, che già al mattino era salito sull'autobus a fare il di più. A dirla tutta non mi sta tanto simpatico: forse è una questione di pelle, o forse perché è intelligente e si approfitta dei turisti cazzoni. Fatto sta che andiamo sulla Terrazza, che è un altro locale poco distante, dove acquista una bottiglia di ron blanco per 5 cuc, che prodigalmente mi offre. In realtà il tipo non è affatto un rompicoglioni come gli altri, ma purtroppo è accompagnato da un insopportabile amico ciccione interamente vestito di bianco, così sono costretta ad abbandonarli al loro destino e a seguire lo spettacolo in solitudine. Lo show era condotto da un presentatore pomposo e proponeva una quantità di balletti supercoreografici pieni di molti culi e tette in movimento.
NO QUIERO APRENDER A BAILAR
CONTINUA....
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