In quasi tutte le macchine fotografiche digitali, credo, c'è un tasto che fa comparire sul display una griglia formata da due linee parallele orizzontali e altrettante verticali. Tali linee dividono l'immagine in nove quadranti (3x3).
Sulla base della teoria della sezione aurea, esiste una regola per cui l'immagine centrata fallisce rispetto a una composizione che tenga conto di queste forze catalizzatrici dello sguardo. Esiste anche una raccomandazione, scritta spesso quanto la prima, che impone a chi vuole imparare la fotografia a ignorare regola e linee, a tenerle solo come strutture con cui fare i conti, ricercando sempre la propria inquadratura, il proprio modo di cogliere il reale.
Sarà un'immagine, come dice un mio collega, non una fotografia, talvolta non documenterà neanche bene ciò che fotografiamo per ricordare, ma sarà la nostra scelta. Forse non vincerà un concorso, ma non è di questo che parliamo, no? Però, però, però: se per le foto ricordo di un luogo un bel box di cartoline sopperisce benissimo allo scopo, io avrei un approccio un po' diverso.
Sai cos'è? Che lo sto scoprendo poco alla volta. Esiste questa fascia infinita di persone, e io ne faccio parte, che senza voler diventare professionisti, vogliono tuttavia capirci qualcosa di più, e allora con le regole e con le trasgressioni devi farci i conti. Come in Shine, il bel film che ha dato un po' di respiro alla musica del povero Rachmaninov, si tratta di imparare e poi dimenticare. Ogni volta scegliere quanto vedere un'immagine in rapporto a un'idea socializzata di fotografia.
Un'immagine centrale focalizza il mondo staticamente attorno a sé, un'immagine basata sui terzi crea un'artistica ed elegantissima asimmetria dinamica (evidentemente centripeta o centrifuga). Tutto il resto è una tensione tra ciò verso cui tendiamo e ciò che sappiamo vedere sul nostro cammino.