Magazine Cinema
di Michael Cuesta (Usa, 2014)
con Jeremy Renner, Rosemarie DeWitt, Mary Elizabeth Winstead, Paz Vega, Barry Pepper, Ray Liotta, Andy Garcia, Tim Blake Nelson, Michael Sheen
durata: 112 minuti
★★★☆☆
Doppio avviso per i cinefili che passano da queste parti: 1) questo La regola del gioco non ha niente a che vedere con l'omonimo film di Jean Renoir del 1939. Trattasi solo dell'ennesimo scempio dei titolisti italiani, che hanno "ribattezzato" così l'originale e ben più significativo Kill the messenger. 2) se per caso Tutti gli uomini del Presidente è il film della vostra vita, o comunque uno dei vostri preferiti, allora passate pure oltre... perchè La regola del gioco non è affatto un film da buttare: ha solo il trascurabile difetto di arrivare sugli schermi con quasi quarant'anni di ritardo!
Michael Cuesta dirige infatti una pellicola accuratissima e rigorosa, intellettualmente onesta, moralmente irreprensibile, sfruttando al meglio un gran bel cast dove, oltre all'ottimo protagonista Jeremy Renner, molti altri fior di attori hanno prestato il loro contributo in camei più o meno piccoli ma tutti significativi. Una pellicola che strizza l'occhio (fin troppo!) alla grande stagione del cinema americano d'inchiesta degli anni '70, ma che finisce per appiattirsi in maniera eccessiva sul format dell'illustre predecessore, perdendo moltissimo in termini di appeal, suspance e denuncia politica.
La storia (vera, siamo ai tempi del primo mandato Clinton) è quella del giornalista Gary Webb, reporter d'assalto di un piccolo giornale californiano che un giorno entra in possesso, in circostanze che definire "piccanti" è riduttivo, di un dossier riservatissimo della CIA in cui vengono svelati i rapporti di malaffare tra i servizi segreti americani, il narcotraffico e i contras nicaraguensi: in pratica, non avendo risorse economiche sufficienti per sostenere militarmente gli oppositori del regime sandinista, il governo degli Stati Uniti (tramite, appunto, i servizi segreti) favoriva e gestiva il traffico di droga nel proprio paese, i cui profitti servivano per acquistare armi e munizioni da inviare ai guerriglieri. Inutile dire che Webb deciderà di rivelare tutto sul proprio giornale: diventerà popolare ma, potete immaginarlo, il prezzo da pagare in fatto di pressioni e intimidazioni sarà altissimo...
Il film di Cuesta si lascia seguire con interesse didascalico e storiografico, ma manca clamorosamente di quell'afflato emotivo e spettacolare che invece era alla base di Tutti gli uomini del Presidente: lo spettatore non è mai particolarmente coinvolto, non trepida mai per le sorti di Webb, non sente bruciare sulla propria pelle la sofferenza e la solitudine di un personaggio onesto ma "scomodo", che improvvisamente si ritrova da solo contro nemici potentissimi. Quegli stessi "nemici" che, in teoria, dovrebbero garantire la legalità e la sicurezza all'interno della propria nazione.
Ne viene fuori così un onesto ma poco avvincente pamphlet sulla libertà di stampa e di espressione, sul "fine che giustifica i mezzi" e sugli intrighi del potere. Probabilmente sarà piaciuto molto a Robert Redford e tutto l'establishment "liberal", ma che di sicuro non entusiasma dal punto di vista strettamente cinematografico, lasciando sempre una nitida sensazione di deja-vu: un film, insomma, più importante che bello, e che regala l'unico spunto frizzante solo nelle didascalie finali, dove furbescamente viene fatto notare che tutta la vicenda di Webb venne mediaticamente "oscurata" all'epoca dal clamore dello scandalo sessuale che coinvolse il presidente Clinton. Come dire: e se il caso-Lewinski fosse stata tutta una montatura creata "ad arte"?
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