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La regola del silenzio – Robert Redford, 2012

Creato il 06 dicembre 2012 da Paolo_ottomano @cinemastino
La regola del silenzio – Robert Redford, 2012

“Shhh!”

Vedere Robert Redford in un thriller in cui c’è un giornalista alla ricerca della verità ricorda, per forza di cose, Tutti gli uomini del presidente: un tema caro all’attore e regista Il giornalista è però Shia Labeuf (Ben Shepard), mentre Redford (Jim Grant) è l’oggetto dell’indagine: un ex pacifista radicale accusato di omicidio.

Grant, sfuggito una prima volta all’ FBI, da circa trent’anni vive sotto falso nome e fa l’avvocato ad Albany, New York. La tranquillità cui si è abituato va in frantumi quando, dopo l’arresto di un’ex componente del suo gruppo pacifista, Shepard indaga ferocemente sul suo passato e scopre la sua vera identità. Grant è costretto a lasciare la propria casa e la propria figlia, affidandola in custodia al fratello, per sfuggire alla polizia federale, che lo cerca e lo manca sempre per un soffio. Sheperd, invece, arriva sempre prima di tutti a intuire la verità, a capire il vero motivo della fuga di Grant: perché fugge da solo e non porta anche la figlia con sé? Scappa perché sa di essere colpevole o per paura di non essere creduto innocente?

La regola del silenzio (The company you keep) è un thriller avvincente nonostante qualche sbavatura: le esigenze della storia, sembra, si potevano racchiudere anche in meno di 117 minuti e sembra superfluo tirare in ballo il Vietnam, lasciando intuire che potrebbe essere l’argomento-perno della vicenda. Non è il protagonista della storia, e dato che il fulcro rimane l’esito della fuga di Grant, ogni pretesto – anche un gigante MacGuffin – sarebbe stato accettabile. Sarebbe stato forse più accettabile, più avvincente. La sbavatura più evidente, però, è nei tempi e nel modo in cui Sheperd (LaBeuf poteva metterci un po’ di espressività in più) scopre le vere ragioni di Grant. Se la trama non si esaurisce in quel momento, e se il finale riserva una prevedibile sorpresa, sarebbe stato meglio posticipare quel momento e guidare lo spettatore alla scoperta. Non è una garanzia, ma avrebbe potuto capirlo da sé e apprezzare di più l’esito del film. Ho già pubblicato quest’articolo su Cinema4stelle



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