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La religione del mercato: la Via della Seta tra fede e commercio

Creato il 02 maggio 2014 da Pietro Acquistapace
Monumento alla Via della Seta - Kasghar

Monumento alla Via della Seta – Kasghar

La Via della Seta è sinonimo di viaggio, di incontro tra occidente ed oriente, perlomeno da quando se ne fa comunemente iniziare la Storia narrata, vale a dire con la missione di Zhang Qian. Siamo nel 139 a.c. e gli Han stanno combattendo contro gli Xiongnu (da cui secondo alcuni storici deriverebbero gli Unni), l’imperatore cinese Wudi cerca volontari per andare a rintracciare ad ovest il popolo degli Yuezhi e proporre loro un’alleanza. Zhiang Qian si offre volontario ed il mito della Via della Seta ha inizio.

La missione di Zhiang Qian durerà tredici anni, sarà catturato dagli Xiongnu (che gli offriranno una moglie dalla quale avrà un figlio) ma riuscirà a scappare e tornare alla corte Han. Ai fini della guerra la missione si rivelò un fiasco (gli Yuezhi spostatisi ancora più ad ovest non ne vollero sapere dell’accordo proposto), ma ai fini geografici fu un successo: quelli di Zhian Qian furono i primi resoconti relativi ai territori corrispondenti all’attuale Asia Centrale, che ben presto divennero il cuore della Via della Seta.

Lungo questa direttrice non corsero solo merci e denaro, ma come ben mostra Richard Foltz in Religions of the Silk Road, anche idee. Secondo l’autore proprio i mercanti furono coloro che propagarono verso est religioni fino allora sconosciute, convertendosi essi stessi a seconda del bisogno. In particolare Foltz si concentra sul ruolo dei sogdiani, onnipresenti lungo tutta la Via della Seta, instancabili mercanti poliglotti che tramite la loro attività furono incessante veicolo di diffusione di lingue e religioni. I sogdiani edificarono la loro ascesa a seguito del vuoto di potere, creatosi in quello che oggi è l’ovest della Cina, seguito allo sfinimento di Xiongnu e Han.

Una delle tesi sostenute dall’autore è presente già nel sottotitolo del libro, Percorsi di globalizzazione premoderni, ed esplicitata nell’epilogo, ossia che il mercato sia di per sé una religione, oggi più che mai, e che nella storia della Via della Seta il commercio è stato “compagno di strada” di fedi utilizzate in maniera di fatto strumentale, sia dai mercanti che dai governanti, a seconda di quale vantaggio se ne potesse trarre. In particolare l’analisi di Foltz si concentra sull’islam divenuto ad un certo punto religione quasi egemone sulla Via della Seta, soppiantando soprattutto il buddhismo nelle sue varie articolazioni. I mercanti dunque si sarebbero convertiti per godere dei vantaggi riservati dai detentori del potere ai loro correligionari, mentre i governanti per approfittare delle rotte commerciali passanti nei territori da loro controllati.

Foltz è docente di religione, e la cosa si sente. Le sue teorie di fondo sono infatti poco supportate da un filo logico che si dipani dalla narrazione degli eventi storici, risultando a tratti deboli. Al contrario l’aspetto più propriamente legato all’illustrazione delle singole religioni ne risulta esaltato. La struttura stessa dei capitoli è divisa per tipologia di credo, che l’autore indaga ed approfondisce in maniera chiara e coinvolgente, seppur perdendo, di tanto in tanto, troppo di vista il contesto storico e lasciando i capitoli forse troppo slegati. Il grande pregio dell’opera è la completezza nel trattare le diverse religioni che hanno solcato la Via della Seta, senza dimenticare lo zoroastrismo, il manicheismo o le minoranze cristiane fuggite ad oriente quando dichiarate eretiche.

Un libro quindi molto interessante che offre molti spunti ma che forse è bene accompagnare con un volume dal taglio più storico. In ogni caso un libro che affronta una parte di mondo, corrispondente perlopiù all’odierno Xinjiang, da una prospettiva poco trattata ed affascinante, toccando sia temi quali le complesse vicende storiche della regione che le meravigliose opere d’arte costituite dalle numerose grotte decorate da affreschi buddhisti di cui lo Xinjiang è costellato.


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