In Italia gli enormi problemi
strutturali si sommano a quelli simpaticamente provocati da
amministratori e politici corrotti, disonesti e incapaci e da
imprenditori senza scrupoli (come è venuto fuori prepotentemente in
questi giorni). Così, è davvero fonte di sgomento osservare come
quasi tutto (ma all'inizio era davvero tutto) il dibattito politico
delle campagne elettorali sia volutamente incentrato verso la
questione delle tasse, per nascondere e mettere in secondo piano la
gravità della situazione e fare un lifting virtuale a quelle persone
che, pur portandone gran parte delle responsabilità, continuano a
proporsi come demiurghi.
Il “lancio” del rientro sulla scena del
grande B. è stato, non a caso, non sui problemi reali
dell'arretratezza del Paese, ma sulle solite tasse. Ma non sulle
imposte che gravano
sul lavoro dipendente (se escludiamo la patetica
proposta delle due aliquote che va a beneficio dei soliti), né sul
monte evaso e eluso da imprenditori poco dotati di senso civico, no:
la questione è stata incentrata soprattutto sulla prima casa.
Quindi, data la detrazione attualmente vigente, di fatto gran parte
del discorso riguarda soltanto chi è proprietario di immobili di
valore medio e alto. Il primo gruppo, ritenuto evidentemente composto
da persone qualunquiste, egoiste e, probabilmente, sciocche e dalla
memoria corta (“voto chi mi fa avere vantaggi diretti e al
diavolo il resto”), è quello chiave per la quantità di
consensi in grado potenzialmente di esprimere, mentre il secondo
gruppo è sempre stato lo zoccolo duro di una certa destra e, anche
se non molto cospicuo in termini di voti, resta importante.
L'edilizia ha guidato la ripresa dagli
anni del boom economico, assieme all'auto e ad alcune altre industrie
e moltissime piccole aziende. In seguito è stata ancora importante
ma non solo in positivo. Degrado ambientale, abusi edilizi, edifici
pubblici dai costi ingigantiti e spesso realizzati con materiali non
di prima scelta. Forse è il caso di riflettere in merito. A fronte
di una popolazione in calo, soprattutto nelle città (a parte la
presenza di immigrati spesso semplicemente ignorati) c'è chi
vorrebbe continuare a incentivare le nuove costruzioni e la proprietà
della casa, pur con i centri storici di molte città cadenti e in
abbandono; davanti al crollo, anche letterale, del patrimonio
artistico e culturale si vuole ancora puntare su condoni edilizi (e
fiscali), new town, mega infrastrutture, grandi opere e ponti
sullo stretto. Perché non trovo strano che questa istanza venga dal
partito degli interessi economici, dei palazzinari e del (nel senso
di sua proprietà) presidente Berlusconi?
Ora, con il caso FinMeccanica, salta
fuori anche il problema della moralità delle imprese, ma per il
grande B. “è ora di finirla con questa ipocrisia”, la questione
deve passare in secondo piano rispetto al “bene del Paese” e
servirebbe per mantenere viva la nostra capacità di concorrere con
imprese estere. Va da sé che il bene del Paese coinciderebbe con il
benessere di una, ahimè, folta categoria di personaggi che, a me
pare, ci hanno portato al disastro con l'alibi che, comunque sia,
grazie a loro si muove l'economia. Abbiamo un paese che richiede una
profonda virata in merito alle priorità, un progetto che sia davvero
innovativo, guardi al futuro e dia prospettive alle generazioni che
sono e, senza interventi, saranno sempre più aliene alla società
dei loro genitori e nonni.
Bisogna investire e incentivare le
energie alternative, la ricerca scientifica pubblica e privata, le
forme di mobilità non private per il pendolarismo, le piccole
infrastrutture che stanno cadendo a pezzi, l'informatizzazione della
pubblica amministrazione e lo sviluppo della rete a banda larga per
le imprese, le ristrutturazioni dei centri storici, la manutenzione e
valorizzazione del patrimonio, ambientale, culturale e artistico, la
piccola impresa artigianale innovativa e competitiva (attraverso la
qualità e la ricerca) rispetto alla concorrenza dei paesi emergenti,
i servizi per bambini (asili nido, in primo luogo) e anziani, la
scuola e l'università.
Le imposte servono a garantire questi e
altri servizi, vanno alleggerite quando è produttivo e riguarda i
ceti deboli e chi investe, ma sempre con la opportuna copertura e
avendo in mente un futuro che sia finalmente diverso da consumare
sempre di più e abbia un orizzonte temporale ampio. Puntare tutto sugli argomenti che
sentiamo in questi giorni (ma, in realtà, da 19 anni), è
profondamente indicativo della pochezza della visione progettuale del
proponente, che, del resto, appare mosso da motivazioni ormai, si
spera, evidenti ai più.
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