L’allegoria potentissima di Brecht è di estrema attualità, in questi giorni. Il drammaturgo nato in Baviera è stata una delle voci, insieme a poche altre del teatro del Novecento, che hanno cantato la stupidità e l’arroganza del potere costruito sulle storture, facendolo con commovente leggerezza.
E attuale è quindi lo spettacolo di Claudio Longhi, con la drammaturgia di Luca Micheletti e Umberto Orsini nei panni di Arturo Ui; in tournée dalla primavera del 2011, si tratta di una rappresentazione che mostra in pieno la coscienza della portata del teatro brechtiano, e della sua vocazione didattico-pamhplettistica.
Tanto espressionista quanto pedagogico, tanto politico quanto lirico. E del resto, forse che oggi possa sentirsi di meno il bisogno di un “teatro epico”?
Al contrario, crediamo. Molte voci, soprattutto dal cosiddetto teatro di narrazione, si alzano, coi vari Baliani, Celestini, Paolini, Vacis, fino al talento di Daniele Timpano. Voci che raccontano misteri (le stragi di Ustica e del Vajont, il rapimento di Aldo Moro, tra gli altri), che scavano nelle ombre, narrando in prima persona, e parodiando a volte.
Proprio come ci insegna Brecht parlando dell’ascesa, sì, ma resistibile, appunto, di Arturo Ui.
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