Il titolo è di quelli sicuramente ad effetto. Appartiene all'ultimo libro del sociologo Franco Ferrarotti il cui tema è appunto la rete e chi ci naviga. L'appellativo idiota, come chiarisce nella breve introduzione lo stesso Ferrarotti,
Il termine “idioti” del titolo non è un insulto gratuito. È da intendersi nel senso etimologico di “circoscritti”, “localizzati”, “irretiti”, “prigionieri nel web”.[vedi breve recensione su Ed. Solfanelli]
è da intendersi nella versione più antica, quella del greco idiòtes, che significa privato in quanto contrapposto a pubblico ma che, sia nel significato originario sia in quello che ha assunto poi in epoca romana e moderna, sta ad indicare "incompetente, inesperto, incolto" [vedi voce idiota nella Treccani]. Poichè in epoca greca colui che occupava una carica pubblica
[...] rivestiva cariche politiche e dunque era colto, capace, esperto [Treccani cit.]
Rispetto a questa competenza dell'uomo colto Ferrarotti oppone l'incompetenza o idiozia dell'assiduo frequentatore della rete, fenomeno contemporaneo ma che segue l'avvento della televisione e della telefonia, strumenti idonei a informare senza formare, e di cui il web rappresenta in qualche modo l'apoteosi, specialmente nella recentissima versione social:
Un’intera generazione — come da almeno trent’anni vado documentando — appare nello stesso tempo informatissima di tutto, comunica tutto a tutti in tempo reale, ma non capisce quasi nulla e non ha niente di significativo da comunicare.[recensione cit.]
Un qualche barlume di verità nel considerare in maniera critica l'eccesso di informazioni c'è. Si è dimostrato che a fronte di troppe scelte le persone finiscono per non scegliere, preferendo un numero di opzioni minore tra cui decidere. Ma, allo stesso modo in cui collezioniamo francobolli, figurine, farfalle o qualsiasi altra cosa vi piaccia, collezioniamo anche informazioni, ne facciamo letteralmente il pieno, con l'indesiderabile risultato a volte di non trarne nessuna utilità. La critica che muove Ferrarotti all'eccesso informativo è il fatto di essere incontrollato
Internet, priva della critica delle fonti, è la grande pattumiera planetaria e paratattica, in cui giovani e giovanissimi, adolescenti, ma anche giovani adulti, vanno quotidianamente affondando.
La paratassi è una figura retorica e con coordinazione e subordinazione rappresenta un modo di collegare gli elementi linguistici in una frase. Alcuni esempi tratti dalla voce paratassi della Treccani serviranno a chiarire meglio di cosa si tratta e cosa vuole esprimere il nostro sociologo:
studia, sarai promosso
si lamenta, tutti si mettono a disposizione
parto, (che) ti piaccia o no
ha un bel provarci, non ci riesce
fosse pure la mia ultima occasione, tenterò [paratassi cit.]
Pure, oltre essere caratteristica del linguaggio parlato, la paratassi è utilizzata da scrittori moderni e contemporanei:
Sono stanco ma non ho finito, lasciami riposare un po’ ma non te ne andare, resta, apri bene le orecchie, perché è importante (Antonio Tabucchi, Tristano muore, Milano 2004, p. 90)
L’unica pietà l’ho ricevuta dagli infedeli, Dio li ricompensi evitando di dannarli come meriterebbero (Umberto Eco, Baudolino, Milano 2000, p. 493) [paratassi cit.]
Una caratteristica della costruzione paratattica è data dall'indipendenza degli elementi che la compongono, il cui
valore semantico [...] si definisce nel contesto e non è predeterminato linguisticamente [paratassi cit.]
mentre, per quanto riguarda l'informazione
la prima frase ha funzione di tema [...], la seconda costituisce il centro dell’informazione dato che indica i possibili nessi semantici: condizionali, temporali, contrastivi, concessivi. Va notato che se gli esempi fossero di lingua parlata, ciascuna frase dovrebbe avere un’apposita unità prosodica, la prima separata dalla seconda da ciò che tradizionalmente si indica come pausa virtuale.
Insomma, se per gli scrittori può essere uno stile o un modo di rappresentare il parlato, per chi l'utilizza normalmente e inconsapevolmente è un modo di semplificare la costruzione eliminando subordinazioni (soprattutto) e congiunzioni, che rendono la frase più complessa e articolata e che necessitano di un maggiore impegno mentale. Che sia tutta colpa di internet? Se non altro, lo è per la
molteplicità e eterogenea abbondanza delle informazioni [recensione cit.]
Il succo del discorso potrebbe essere: può, chi passa da una totale o quasi assenza di letture, essere in grado di distinguere le informazioni vere da quelle fasulle? Un'occhiata al genere di condivisioni imperanti su Facebook, ma meno su Twitter, e la facilità con la quale le false notizie si diffondono (e vengono preferite) nel social di Zuckerberg, lasciano pensare che questi timori possano essere veri.Un mondo senza internet è composto dagli stessi soggetti, solo non catatonici e obesi? Ho qualche dubbio. In fondo, superstizioni, false notizie, credenze assurde e voci incontrollate sono sempre esistite. Anzi, vi è da pensare che prima, nella società della non-informazione, le voci di chiarezza facevano molta più fatica di ora a imporsi. Se è vero che la diffusione delle notizie è aumentata enormemente, è anche vero che la pratica di confutare quelle false era lasciata a strumenti molto più elitari di adesso, in cui nello stesso mezzo (internet) troviamo lo strumento di contagio e quello di cura.
Quanto ai due momenti più forti riassunti dalla frase
comunica tutto a tutti in tempo reale, ma non capisce quasi nulla e non ha niente di significativo da comunicare
che prove ci sono che non comunicare ci farebbe di botto intelligenti e pieni di cose significative da dire? Quel quasi lascia comunque aperta una speranza e quel niente di significativo si riferisce alla quotidianità dei nostri discorsi che hanno, per lo più, una funzione sociale più che informativa, rete o non rete.