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La retorica dell'autore - Speciale

Creato il 18 ottobre 2015 da Intrattenimento

Esistono ancora gli autori nel mondo dei tripla A?

Il significato generico di "autore" non ha bisogno di grosse spiegazioni: l'autore è colui che crea qualcosa. Per il dizionario Treccani l'autore è "Chi ha prodotto un'opera letteraria, scientifica o artistica in genere, rispetto all'opera stessa".

La retorica dell'autore
Child of eden: esaltato da tutti per le sue qualità artistiche, ma è stato un flop Ampliando il concetto si parla di opera d'autore quando un dato manufatto artistico presenta delle caratteristiche riconoscibili, associabili a un determinato individuo o gruppo di individui. Nell'ambito artistico / espressivo domina la connotazione che ne hanno dato nei primi anni cinquanta i registi e intellettuali francesi orbitanti intorno ai Cahiers du Cinéma di André Bazin (Francois Truffaut, Jean-Luc Godard, Jacques Rivette, Claude Chabrol e molti altri, tanto per fare qualche nome). Furono loro a rinnovare profondamente la definizione di autore, individuando nell'opera dei registi "il manifestarsi d'una autentica personalità artistica proprio attraverso quegli elementi caratteristici del loro stile che si identificano con le peculiarità di una <> personale." Si tratta della cosiddetta "Politica degli autori", che ancora oggi produce i suoi frutti, anche se a volte marci, soprattutto quando l'apprezzamento per un determinato autore diventa culto della personalità. Ossia quando diventa una forma religiosa di adorazione per un singolo individuo, la cui immagine viene paradossalmente disumanizzata, assumendo tratti divini, con le sue opere che vengono considerate come siano rivelazioni cristologiche. Nel mondo dei videogiochi c'è stato un periodo in cui è stato possibile parlare di "autori" senza arrossire. In realtà l'ambiente ha sempre avuto delle figure di riferimento, individuabili in innovatori del medium o in personalità capaci di catalizzare l'attenzione con la forza delle loro opere. Molti di voi avranno subito pensato a Hideo Kojima, data la recente uscita di Metal Gear Solid V: The Phantom Pain, ma ce ne sono moltissimi altri. Basti pensare a Jeff Minter, Sid Meier, Will Wright, Warren Spector, Tetsuya Mizuguchi, Fumito Ueda, Shigeru Miyamoto, Ken Levine e così via. Se conoscete alcuni dei nomi citati, avrete sicuramente notato che sono in molti a non lanciare videogiochi con la loro firma da diversi anni. Ma ora urge affrontare l'argomento da un punto di vista completamente diverso. Per farlo occorre porsi due domande: quanti autori sono rimasti nel mondo delle produzioni tripla A? Ma, soprattutto, quanti autori sono emersi negli ultimi anni nella parte più in vista dell'industria, quella che comunica direttamente con il grande pubblico?

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Gli autori sono morti

Se vi chiedessimo chi è l'autore di The Witcher 3: Wild Hunt, voi cosa rispondereste? E quello di Batman: Arkham Knight? Oppure l'autore di Battlefield: Hardline, chi è? E gli ultimi Assassin's Creed? Di chi è la loro paternità?

La retorica dell'autore
Chi è l'autore di The Witcher 3? I più scaltri, capendo dove vogliamo andare a parare, staranno correndo a cercare i vari nomi di figure di spicco dei titoli citati, magari i lead designer, o i game director. La verità è che non lo sa nessuno. Anzi, diciamo meglio: la verità è che non interessa a nessuno. La cerchia di appassionati che compra un dato titolo perché realizzato da un certo autore è ristrettissima: troppo per legarci un discorso commerciale. Ne fanno fede proprio i grandi nomi appuntati nel paragrafo precedente, che non sono più in grado di smuovere copie; almeno non quante ne servono per far rientrare un videogioco tripla A dei suoi costi di sviluppo. Molti degli autori di videogiochi che spesso vengono citati come fari dell'industria sono nati grazie al successo commerciale delle loro produzioni, ma la percezione che i videogiocatori stessi hanno del loro medium a un certo punto li ha frenati. L'autore è diventato una figura inattuale, in un certo senso ingombrante. Il processo produttivo di un videogioco tripla a è complessissimo. Entrando in un grande studio scoprireste che la gran parte del lavoro è simile a quello di una catena di montaggio. Ci sono migliaia di risorse da produrre, altrimenti niente livelli ultra realistici. L'arte non c'entra niente, così come l'espressività. Figuratevi se è possibile permettere a cento grafici di esprimere ognuno la propria visione del mondo nel lavoro. Oppure se altrettanti programmatori possono fare quello che gli pare. Serve un progetto chiaro che tutti i membri dello studio possano seguire. Serve qualcuno che diriga i lavori dall'alto, che ottimizzi i tempi e che ponga freno all'ego dei singoli, per arrivare al risultato finale. Quindi gli autori sono queste figure di raccordo? Sì e no.
La retorica dell'autore
Sunset, o il funerale dell'autore
I risultati migliori si ottengono limitandosi a vicenda, le scelte sono frutto di riflessioni collettive, di riunioni, di valutazioni, di ritocchi e smussamenti. La fase di pre-produzione di un videogioco può durare mesi e va inserita in un momento preciso del ciclo produttivo (solitamente mentre la produzione sta ultimando il gioco precedente), in modo da non creare tempi morti. È tutta una questione di costi: mantenere uno studio formato da centinaia di persone costa milioni di dollari e sprecare stipendi è un delitto. In un quadro del genere, che è molto più complesso di come ve lo abbiamo descritto (ma speriamo di avervi aiutato ad avere un'idea più chiara della situazione), una figura forte con potere decisionale assoluto, credete sia vista come un bene o come un male? Parliamo di qualcuno che può svegliarsi la mattina e decidere di mettere o togliere una caratteristica che magari è costata mesi di lavoro, oppure che può portare avanti un progetto impossibile da realizzare inseguendo solo la sua visione. Non sono situazioni rare. Almeno lo erano prima che l'industria decidesse di togliersi l'ingombro di dosso: gli autori non servono, serve il prodotto. Il videogioco non è più un'esperienza, ma è un passatempo: è un servizio che viene offerto a una società alla perenne ricerca di svaghi.

Il delitto perfetto

Insomma, non c'è nessun altro ambito in cui la parola "autore" sia parte di una retorica sfocata e assolutamente inattuale come nel mondo dei videogiochi. Chi la cita spesso lo fa dandogli un peso che in realtà ha perso, come se la presenza di un autore nei videogiochi possa cambiare qualcosa.

La retorica dell'autore
Else Heart.Break(), non ha venduto bene nonostante gli autori L'autore poteva e può esistere in situazioni produttive minute, ma è ancora da chiarire quanto sia di richiamo per il pubblico. È di quest'anno il caso del fallimento dei Tales of Tales, studio di sviluppo autoriale per antonomasia, mentre è più recente il lancio di Else Heart.Break() che nonostante i nomi degli sviluppatori bene in vista, tutti personaggi molto amati nella comunità indie, ha prodotto vendite per poche migliaia di copie. Anche il discusso, chiacchieratissimo e osannato The Beginner's Guide non ha ancora raggiunto le centomila copie vendute, per dire quanto alla comunità dei videogiocatori interessi seguire un certo autore. Quindi, se per le grosse produzioni l'autore è un problema e, soprattutto, dargli la libertà che cerca non porta nessun vantaggio in termini economici, perché i publisher dovrebbero rischiare? Per fare felici i pochi che ci tengono? I videogiocatori hanno dimostrato in più occasioni di apprezzare i prodotti di marketing più di quelli autoriali, quindi perché prendere un'altra strada? Per gettare al vento milioni di dollari di investimenti? Gli autori sono morti, uccisi dall'industria con la complicità del pubblico. Detta nel modo più cinico possibile, va bene così, perché stiamo sempre parlando di intrattenimento e se questa è la scelta fatta dalle masse la possiamo discutere quanto vogliamo, ma non possiamo cambiarla. Eppure ogni tanto qualche guizzo ancora riusciamo a vederlo anche nel mondo dei tripla A. Magari in qualche quest secondaria, oppure in un sistema di gioco particolarmente significante. Certo, sono piccole meteore che ci passano davanti agli occhi non lasciando traccia. Eppure ci piace ancora pensare che dietro a un dialogo particolarmente bello, o dietro alla strutturazione di un intero mondo di gioco, ci sia qualcuno con un nome e un cognome che possa dire "l'ho scritto io".


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