Sembrerà strano questo mio intervento sulla retorica dell'incontro, dopo anni in cui ho perorato, fra i poeti, e non solo, la causa dello scambio umano e culturale. Ma è che, ultimamente, parole come gruppo, comunità, amicizia, sbandierate in internet come vessilli e programmi, cominciano a darmi fastidio.
E devo dire, come premessa, che, per formazione e biografia, i miei gesti e la mia opera rimangono profondamente influenzati dall'idea di una koinè, di una diversità, accomunata - mi si perdoni l'ossimoro - dalla biologia dell'universo che abitiamo e che ci abita: creazioni, distruzioni, frammentazioni.
Impossibile, quindi, trincerarsi dietro il pensiero di un totalitarismo culturale, umano, esistenziale. Più realistico, invece, immaginarci tutti nel vorticoso sommovimento degli atomi che, per divergenza o simpatia, si attraggono e si respingono.
Cosa c'è di diverso, nelle nostre azioni, dal procedere delle leggi che creano e annichiliscono la materia? Attrazione e repulsione improvvise; o peggio: attrazioni che diventano violente repulsioni o viceversa. Decliniamo queste forze destinali nell'agire degli umani e vediamo cambiate solo le maschere, la forma delle parole. La sostanza e la qualità dei sentimenti, invece, non cambiano affatto. Perché ci sono passioni nel nostro cuore e ci sono passioni che si agitano intorno agli eventi tutti; la nascita di una stella come il tremolare di un filo d'erba al vento. Possiamo immaginare, dopo la morte violenta di una stella, o il formarsi di un pianeta per successivo raffreddamento, il vorticare di forze intorno a questi eventi - avevano ragione gli antichi nell'attribuire passioni ferocissime agli dei, anche peggiori di quelle umane perché neanche calmierati dalla pietà, se persino il dio dell'antico testamento distrugge e ricostruisce, e non guarda in faccia a nessuno - .
Siamo dunque condannati dalle leggi naturali a vivere nel nostro quotidiano il flusso e riflusso di queste forze che noi chiamiamo con nomi opposti: amicizia, inimicizia, odio e amore, pietà e compassione, comunità e singolarità, tradimento e fedeltà.
Non siamo capaci di stare fedelmente, e per tutta la vita, dentro una di queste forze. Chi è amico prima o poi tradirà o si sentirà tradito. Chi pratica la non violenza, prima o poi si ritroverà ad imbracciare un'arma per difendersi. Chi s'inventa una comunità, prima o poi si ritroverà a cercare una casa in solitudine.
Siamo transeunti, insomma; soprattutto le nostre parole, ed è solo una questione di tempo perché si realizzi ciò che si deve realizzare: il tempo della maturazione del frutto e del suo disfacimento.
Eppure...eppure... siamo capaci, con durezza, di stare dentro un'idea, una sopraffazione, un rigore, uno scarto verbale, una categoria. Ché, in fondo, siamo specchi di una violenza iniziale, di una diversità che non si risolve, se non per guerra, per annientamento dell'altro, per dichiarazione di una superiorità che ci rende simili a quella cosa che chiamiamo Dio.
Dobbiamo scegliere con chi vogliamo stare, e in questa violenza esercitiamo la prova di una dura libertà.