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La ricerca della felicità

Creato il 07 settembre 2012 da Misterjamesford
La ricerca della felicitàRegia: Gabriele MuccinoOrigine: Italia/UsaAnno: 2006Durata: 117'
La trama (con parole mie): siamo a San Francisco nei primi anni ottanta, e Chris Gardner, che non conobbe il padre prima dei suoi ventotto anni, venditore di uno scanner medico per il quale ha l'esclusiva, cerca di fare di tutto affinchè il figlio possa sentire sempre la sua presenza.Il macchinario, però, non si vende neanche a piangere in cinese, nonostante il piccolo Christopher frequenti una scuola economica nel cuore di Chinatown, così, una volta abbandonato dalla moglie, il buon Chris senior deve arrangiarsi tra un ricovero per poveri e la speranza di essere assunto in una grossa agenzia di broker dopo uno stage non retribuito della durata di sei mesi: il sogno americano formato Will Smith e Gabriele Muccino, un inno alla forza dei sogni e all'idea di non mollare, perchè prima o poi, nonostante le sfighe della vita, se continuerai a stare addosso a chi conta, finirai per fare i soldi anche tu.Che, alla fine, sono la felicità.
La ricerca della felicità
Non sono mai stato un grande sostenitore di Muccino, fin dai tempi in cui fece successo e sensazione con L'ultimo bacio.
A dire il vero, avevo discretamente apprezzato il generazionale Come te nessuno mai, eppure direi che quello è rimasto un episodio isolato rispetto alla carriera di un regista che continuo a considerare tendenzialmente paraculo e troppo borghese, per i miei gusti da tamarro pane e salame, sicuramente abile nel costruire una scena dal punto di vista tecnico eppure troppo nevrotico e sopra le righe dalla direzione degli attori all'approccio narrativo.
Così, inesorabilmente e senza alcun patema, mi sono progressivamente allontanato dal suo operato, capitando ogni tanto nel corso di uno zapping rapidissimo di fronte allo scempio che furono Ricordati di me o l'agghiacciante Sette anime - opera seconda del regista in terra americana -: l'ultima Blog War combattuta a suon di vergogne cinematografiche con il mio antagonista Cannibale mi ha invece obbligato a tornare indietro di qualche anno per recuperare un titolo cui avevo per l'appunto felicemente rinunciato, quel La ricerca della felicità che segnò l'esordio - fortunato, tra l'altro, in termini di incassi - di Muccino oltreoceano.
In realtà, rispetto ad uno scempio totale come l'appena citato Sette anime, questo mini polpettone in salsa buonista nel pieno rispetto delle regole del Cinema per famiglie a stelle e strisce con tanto di sogni propinati alla grigliata della domenica pare quasi perdonabile al regista, il cui ego normalmente gigantesco pare fagocitato da quello ancora più grande di Will Smith, che quasi come mai prima recita oltre ogni limite di decenza trasudando una voglia di Oscar - fu candidato per il ruolo di Chris Gardner, in effetti - grande quanto un paio di ville con giardino.
Giusto per tentare il tutto per tutto l'ex principe di Bel-Air sfodera anche il colpo basso del figlio Jaden nel ruolo del piccolo Christopher, finendo solo per mostrare quanto più talento abbia il futuro protagonista del remake di Karate Kid rispetto al noto genitore: personalmente non ho nulla contro il buon Will Smith - detesto in misura decisamente maggiore Muccino -, ma l'ho sempre trovato più consono a ruoli più leggeri e meno "sono un grande attore e aspetto soltanto che l'Academy lo riconosca" che non a drammoni strappalacrime facili facili come questo, fatta eccezione forse soltanto per il magnifico Alì di Michael Mann, ma in quel caso il buon Will ebbe a dirigerlo un signor fuoriclasse.
Ma prima di finire a dedicare l'intero post a regista ed attore protagonista - e so che non potrebbero che esserne felici, considerate le loro manie di protagonismo - vorrei spostare l'attenzione sul film: tecnicamente c'è davvero poco da eccepire, nonostante un eccesso di accademismo classico che alla lunga finisce per annoiare nel corso delle quasi due ore piene di pellicola, ed il comparto tecnico funziona senza sbavature, eppure l'intera storia - ispirata alla reale vicenda di Chris Gardner, che dalla strada divenne un broker di successo nel pieno dei reaganiani anni ottanta - risulta clamorosamente e fastidiosamente patinata, quasi si viaggiasse con il piede costantemente pigiato sull'acceleratore delle scene madri e della commozione indotta tipiche di quei titoli che normalmente chi è abituato a frequentare le sale soltanto di tanto in tanto finisce per considerare filmoni degni di chissà quali recensioni, vantandosi neanche fosse Muccino o Will Smith con i colleghi di lavoro e propinandole agli amici in occasione delle serate cena più film.
Fortunatamente non è mai capitato che mi venisse proposto un titolo di questo tipo in momenti del genere - chissà, forse i miei amici sanno che altrimenti verrebbero travolti dalle bottigliate -, e ringrazio che l'esperimento dello scontro rispetto al peggio del peggio con il mio rivale sia ormai alle spalle per mettere definitivamente una pietra sopra Muccino e la sua carriera.
Certo, ci sono film decisamente più brutti di questo, sia a livello tecnico che realizzativo: in fondo io stesso l'ho seguito senza avvertirne troppo il peso dall'inizio alla fine, e la vicenda narrata giocata sul riscatto e sulla realizzazione dei propri sogni ha sempre il fascino subdolo dell'american dream, eppure i ricatti morali di questo genere tendono sempre a farmi incazzare rispetto all'idea dello stesso script finito in mani decisamente più capaci di mantenere toni sobri ed intimisti invece che lasciarsi andare a momenti a dir poco pessimi come il confronto tra Chris e suo figlio sul campo da basket, in cui nel giro di trenta secondi si passa dal "dedicati ad altro che non sia un pallone" a "non permettere a nessuno di dirti cosa fare dei tuoi sogni, neanche a me". Agghiacciante davvero.
Per non parlare dei continui riferimenti a Jefferson, da fiaba stars&stripes tutta la vita, indigestione di pollo fritto e già che ci troviamo siamo ottimisti e felicemente casa e chiesa.
Da grande fan della cultura Usa, non posso che rimanere di sale di fronte a questa visione retorica ed idealizzata della stessa, come una caramella gigante fatta ingoiare a forza cercando di convincerci ad essere obesi ed orgogliosi di esserlo.
Ovviamente, a portarla in scena non poteva che essere uno dei peggiori elementi del panorama cinematografico della Terra dei cachi, rimasto probabilmente ai tempi dei paninari.
MrFord
"I'm so darn glad he let me try it again
cause my last time on earth I lived a whole world of sin
I'm so glad that I know more than I knew then
gonna keep on tryin'
till I reach the highest ground."Stevie Wonder - "Higher ground" -

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