Cosa succede quando un ricercatore si mette al servizio di una teoria, invece che cercare di guardare ai fatti con il maggior grado di oggettività possibile (richiesto e allo stesso tempo garantito dal metodo sperimentale)? La risposta non può che essere: “Niente di buono”.
E’ esattamente questo che è successo a Mark Regnerus, sociologo dell’Università di Austin, nel Texas, che mesi fa ha pubblicato uno studio da subito pesantemente criticato dalla comunità scientifica, ma considerato un baluardo da tutti coloro che si dichiarano contrari all’omogenitorialità.
Regnerus, infatti, in un articolo pubblicato a giugno, sosteneva di aver trovato le prove che crescere in una famiglia omosessuale si traduce in uno svantaggio per la prole: i figli di genitori omosessuali sarebbero, infatti, più inclini al suicidio, al tradimento e alla disoccupazione di quelli delle coppie eterosessuali stabili, e comunque destinati a incontrare maggiori difficoltà psicologiche e materiali nella vita.
Lo studio del sociologo texano, che contraddice i risultati di tutti gli studi precedenti sullo stesso tema, è stato subito oggetto di pesanti critiche, sia da parte di psicoterapeuti e professori universitari, che da parte di alcune tra le più importanti associazioni mediche tra cui l’American Psychological Association, l’American Psychiatric Association, l’American Medical Association, l’American Academy of Pediatrics, e l’American Psychoanalytic Association, che hanno rimproverato a Regnerus di averne falsato i risultati usando criteri sbagliati.
Il punto di forza dello studio sembrava essere la numerosità del campione: Regnerus, infatti, nella pubblicazione sostiene di aver preso in esame 2.988 persone tra i 18 e i 39 anni, compresi 163 adulti cresciuti da coppie di mamme lesbiche e 73 adulti cresciuti da padri gay. Il problema, che è venuto fuori in questi giorni, è che la ricerca di Regnerus non è basata su un campione casuale. Al contrario, l’autore ha falsato i risultati, come gli accusatori evidenziavano, andando a cercare i figli di genitori omosessuali tra le famiglie con un maggior numero di fattori di rischio psicosociale.
Secondo John Corvino, professore di filosofia alla Wayne State University di Detroit e autore di Debating Same-Sex Marriage, “Invece di chiedere agli intervistati se erano stati cresciuti da una coppia gay, ha chiesto se il padre o la madre avevano avuto almeno un rapporto omosessuale, a prescindere dalla sua durata e caratteristica. E in caso affermativo li ha definiti «genitori gay»”.
Come conseguenza di questa scelta, sostiene Corvino, il numero di partecipanti realmente cresciuto in famiglie omogenitoriali diventa statisticamente irrilevante, perchè il campione include “detenuti etero che in carcere fanno sesso con altri uomini per sfogarsi; una coppia gay di lungo corso che adotta (negli Usa è possibile) bimbi portatori di handicap; una donna quarantenne che scopre la sua omosessualità quando i figli sono cresciuti, divorzia dal marito e inizia una storia con un’altra donna; una prostituta sposata eterosessuale che occasionalmente offre i propri servizi alle donne; una lesbica che fa un figlio grazie all’inseminazione artificiale e lo cresce con la sua compagna; uomini sposati con un amante del loro stesso sesso“.
Dopo tutte queste pesanti e giustificate critiche, Regnereus ammette di aver sbagliato nella scelta del campione, falsando i risultati, ma nel frattempo il suo studio è diventato il più citato da tutti coloro che si oppongono alle famiglie omogenitoriali, e che trascurano sia gli errori metodologici dello studio, che la sua assoluta unicità in un corpus di studi ormai sempre più vasto, che dimostra l’esatto contrario di quanto sostenuto da Regnereus.
Questa storia ci dimostra quanta confusione e quali danni può provocare l’incapacità di discutere di certi argomenti senza essere condizionati da stereotipi e pregiudizi.
Nonostante le scuse di Regnereus (ha dichiarato «se dovessi rifare da capo la mia ricerca starei più attento a definire i figli di genitori dello stesso sesso. Ho parlato di madri lesbiche e padri gay quando in effetti non sapevo niente sul loro orientamento sessuale») c’è ancora, e ci sarà sempre, chi trascurerà l’infondatezza scientifica dello studio e lo userà come dimostrazione delle proprie tesi omofobe.
Tanto sappiamo bene che non è la prima volta che scienziati si prestano a libere interpretazioni (di parte) prive di fondamento scientifico, no?