Molti ottimi film nascono da un eccezionale libro. Non abbiamo ancora avuto la possibilità di leggere An di Durian Sukegawa, ma il successo del film omonimo tratto dal romanzo di questo autore, all’ultimo Cannes prima e al Toronto Film Festival poi, potrebbe spingere (e ce lo auguriamo) anche un editore italiano a seguire le orme del collega francese Albin Michel (la storica e ricercata casa editrice che pubblica fra gli altri i romanzi di Amélie Nothomb), traducendo dal giapponese la storia della signora Toku.
Di sicuro la regista Naomi Kawase il libro lo ha letto e ne è rimasta folgorata, trasformandolo in un film uscito da poco nelle nostre sale con il titolo di Le ricette della signora Toku. Ogni gesto dei suoi personaggi sembra in bilico su un burrone di sensi che si muovono nella storia sotto un tappeto di petali di ciliegio. Passeggiarvi sopra sembra facile e dolce, ma l’essere umano ha imparato a ricoprire il dolore di strati di ‘presentabilità' per gli occhi esterni. Ha imparato che la più piccola diversità lo può far esiliare dal gruppo in cui gli è toccato vivere e sa che la vita al di fuori del gruppo può essere assai lunga, oltre che molto dura. La signora Toku di diversità ne sa abbastanza, portandosi dietro deformità dalla fanciullezza, deformità che le hanno negato molti fra i più naturali e scontati diritti degli ‘altri’. Eppure la signora Toku, a 76 anni, è ancora alla ricerca di qualcosa che le possa restituire un pezzetto di gioia. Quel qualcosa lo trova impropriamente in un quarantenne infelice e solo che è costretto a gestire un piccolo forno per ripagare un debito. Il piccolo forno offre ai suoi clienti un unico prodotto: il dorayaki, un dolce composto da due piccoli pancake tenuti insieme da una speciale composto di fagioli rossi (a metà strada fra una marmellata e una purea - l’An del titolo originale del libro e del film).
Diventato famoso ben al di fuori dei confini nipponici grazie al gatto robot Doraemon, cartone animato giapponese degli anni ’80, ghiotto di questi speciali dolcetti, il dorayaki diventa nel film di Kawase l’unico vero sistema di comunicazione fra diverse solitudini: quella obbligata della signora Toku, segregata in un sanatorio per decenni, quella voluta di Sentaro, fornaio insoddisfatto che non è goloso di dolci eppure non fa che prepararne e quella da cui non sembra possibile uscire di Wakana, ragazzina che ha come unico amico un canarino giallo che tiene in gabbia per non ritrovarsi senza nessuno con cui condividere le proprie paure.
Mentre i ciliegi perdono i loro petali, i fagioli rossi si consumano sotto un coperchio di legno e le foglie di olmo si scuotono cercando di dirci che è tempo di partecipare al cambiamento in cui siamo immersi da quando siamo nati, lo spettatore si troverà ad astrarsi, se saprà approfittare del ritmo volutamente rallentato di questo film, cercando di capire dove lo sta portando la propria mutazione.