La riconciliazione palestinese: un'opportunità per la pace?
Creato il 17 maggio 2011 da Bloglobal
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di Giuseppe Dentice
Lo scorso 4 maggio, al Cairo, è stato firmato un accordo di
riconciliazione tra Abu Mazen (Mahmoud Abbas), leader di Fatah e Presidente dell’Autorità Nazionale
Palestinese (ANP), e Khaled Meshaal, capo dell’ala politica di Hamas. A questo
accordo hanno preso parte anche le altre undici fazioni palestinesi che hanno
dichiarato l’obiettivo comune di costruire un nuovo governo di unità nazionale
formato da tecnocrati indipendenti ma graditi alle diverse fazioni con il
compito di organizzare, entro un anno, le elezioni presidenziali. Oltre al
governo di unità nazionale sono stati trovati accordi per le elezioni del
rinnovo del Presidente e del Parlamento dell’ANP e del Consiglio Nazionale
Palestinese – organo legislativo dell’Organizzazione per la Liberazione della
Palestina (OLP). Al Cairo, sotto la regia di Amr' Moussa, Presidente della Lega
Araba, e di Nabil al-Arabi, neo Ministro degli Esteri egiziano, erano presenti
molti altri politici giunti da Ramallah e da Gaza, come Moussa Abu Marzouk, leader
di Hamas in Siria, e 'Azzam
al-Ahmed, delegato di Fatah. Il testo e le clausole
dell’attuale accordo riprendono in sostanza i contenuti di quello del 2009
mediato dall'allora Presidente egiziano Hosni Mubarak e firmato soltanto da Fatah.
Le due fazioni erano divise dal
giugno 2007 a causa dei numerosi incidenti e scontri con le autorità israeliane
avvenuti a Gaza, i quali sancirono la divisione politica de facto dei Territori Occupati Palestinesi in due entità: la
Striscia di Gaza sotto il controllo di Hamas e la Cisgiordania sotto la guida
di Fatah. I rapporti tra le due organizzazioni furono caratterizzati da
violenze e da accuse reciproche di collaborazionismo con il vicino israeliano e
di fomentare il terrorismo islamista sul territorio palestinese. Pertanto ogni
tentativo di una possibile intesa è sempre naufragato miseramente. L'attuale
accordo, però, dovrebbe ricucire la spaccatura e restituire una parvenza di
unità. Israele, colta di sorpresa dall'accordo, storicamente ha sempre lavorato
per dividere la causa palestinese, ha bollato l'iniziativa come uno sciagurato
accordo e ha suggerito all'ANP “di scegliere tra la pace e Hamas”.
In realtà, i primi avvicinamenti tra
Hamas e Fatah sono partiti lo scorso 15 marzo, allorquando è partita la rivolta
araba in Siria. Contemporaneamente, i giovani della Striscia di Gaza e del West
Bank manifestavano pacificamente, prendendo spunto dalle altre rivolte arabe,
chiedendo la fine dello scontro tra palestinesi e un accordo tra le due forze
in vista di un rilancio dell'unità nazionale e della convocazione di nuove
elezioni. La popolazione prima dei suoi stessi politici ha avvertito che il
duro braccio di ferro tra le due organizzazioni ha indebolito la resistenza
palestinese di fronte all'occupante israeliano, ma ha anche portato all'interno
dei Territori Occupati una guerra
intestina che ha paralizzato tutte le strutture di governo e ha indebolito
ulteriormente la già fragile economia palestinese.
La riconciliazione nazionale
palestinese è stata strettamente legata al cambio di potere in Egitto ed alla
repressione interna in Siria. Infatti, più che una reale volontà di cambiamento
e di unità di intenti tra le fazioni in lotta, sono intervenuti il realismo
politico e le rivolte regionali che hanno fatto propendere per una tregua.
Per quanto riguarda Fatah, lo stallo
del processo negoziale con Israele, la caduta di Mubarak in Egitto e le
manifestazioni popolari a Gaza e Ramallah hanno convinto Abu Mazen della
necessità di una svolta politica con Hamas, cercando, appunto, una
riconciliazione. Per quanto riguarda Hamas, Siria, Hezbollah e Iran
costituivano i naturali alleati regionali e avevano sempre offerto a livello
internazionale il sostegno diplomatico e politico di cui necessitava. L'attuale
situazione siriana, congiuntamente a quella di Hezbollah in Libano – impegnato
in un difficile processo negoziale per la costituzione di un nuovo governo nel
Paese e di riabilitarsi dopo il verdetto del Tribunale Speciale per il Libano
che incrimina alcuni suoi membri per l'omicidio Hariri – e all'Iran – diviso
tra un tentativo di rilancio dei propri rapporti diplomatici con l'Egitto,
interrotti oltre 30 anni fa per protesta contro i trattati di Camp David
firmati dal Presidente egiziano Sadat con Israele, e i litigi interni alla
stessa Repubblica islamica tra vertici religiosi e quelli politici –, hanno
lasciato Hamas isolata a livello regionale. A ciò si aggiunga anche il lungo
embargo israeliano nella Striscia e il fatto che è stata appena inaugurata la
nuova difesa anti-missilistica di Tel Aviv (Iron Dome).
Dietro l'accordo palestinese si
muovono sotto traccia altri attori regionali interessati: Egitto e Israele su
tutti. La nuova leadership
egiziana è sembrata voler abbandonare la politica di appeasement verso Israele
seguita da Mubarak in questi anni per una linea di apertura politica agli altri
Paesi della regione e ad un maggior protagonismo nell'area. Infatti, la
riapertura del valico di Rafah che ha sancito di fatto la fine del blocco
egiziano in vigore dal 2007 nella Striscia di Gaza, il riavvicinamento con
Teheran e la condotta delle trattative di riconciliazione palestinese con due
egiziani sulla scena politica (Amr' Moussa e Nabil al-Arani) sono significativi
segnali di cambiamento rispetto al passato. La nuova ribalta egiziana pone,
allo stesso tempo, dei problemi anche al “quasi-storico” alleato israeliano.
Tel Aviv non ha gradito particolarmente il cambio al vertice al Cairo e anche
il nuovo protagonismo egiziano ha irrigidito i suoi rapporti politici, fino ad
ora ottimi, con il Paese del Levante. Il premier Netanyahu e il Ministro
degli Esteri israeliano Lieberman hanno affermato di non avere alcuna
intenzione di negoziare con un nuovo governo palestinese che includa Hamas.
L'accordo ha creato un serio imbarazzo in Israele che si è trovata impreparata
e che ha proposto come unica contromisura all'intesa il congelamento dei
trasferimenti dei fondi delle tasse palestinesi. A conferma dell'imbarazzo del
governo è intervenuto, inoltre, un sondaggio posto in Israele ai cittadini sul
cosa fare dopo la morte di bin Laden. Il ben 48% degli intervistati hanno
affermato come sia necessario riconoscere uno Stato di Palestina, pur
mantenendo gli insediamenti, per dare una svolta allo stallo delle trattative
di pace.
Pertanto, per entrambe le parti
l'intesa pone alcuni dubbi: sarà capace l'ANP di convincere i suoi
interlocutori occidentali e, sopratutto, gli USA che inserimento di Hamas in un
futuro governo tecnico continuerà ad avvenire sotto la guida dell'ANP stessa,
nel rispetto delle stesse regole sancite dal Quartetto? Inoltre, la stessa ANP
sarà capace di garantire la rinuncia ad atti di resistenza armata di Hamas
almeno per i prossimi 24 mesi? Risposte certe non ce ne sono, ma dietro ad una
presa di posizione formale ed ufficiale di Hamas di rinnegare la violenza e di
stare ai patti, forse ci potrebbe essere una svolta storica. Alla luce di ciò,
Stati Uniti ed Unione Europea hanno preferito, fino a questo momento,
temporeggiare e capire le reali intenzioni di Hamas e Fatah.
L'unica difficoltà concreta sarebbe
il rifiuto categorico di Israele ad aprire un dialogo con un governo che
includa Hamas. L'ostacolo si potrebbe aggirare con il sostegno degli USA ed il
loro impegno ad esercitare pressioni su Israele, oltre che con una eventuale
garanzia egiziana all'azione palestinese. Tuttavia il veto americano, lo scorso
18 febbraio, alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza ONU che condannava
Israele per gli insediamenti nei Territori Occupati non avrebbe convinto del
tutto i Palestinesi sulle reali intenzioni degli USA. Infatti, non sarebbe
scontato che questi ultimi possano indurre Israele a fare delle concessioni
alla causa palestinese. Inoltre, neanche l'Unione Europea si è espressa sul
merito dell'accordo. Probabile che questo avvenga nella prossima riunione del
Consiglio dei Ministri degli Esteri europeo del 23 maggio. Come nel caso degli
Stati Uniti, è probabile che dietro un impegno formale del nuovo governo palestinese
ad aderire ai tre principi necessari per qualsiasi trattativa politica ( il
riconoscimento dell’esistenza di Israele, il rispetto degli accordi precedenti,
la rinuncia alla violenza) l’UE potrebbe anche appoggiare la riconciliazione
nazionale di Hamas con Fatah.
Pertanto, se la riconciliazione avrà
successo, per i Palestinesi si aprirà una nuova stagione di pace. In attesa del
riconoscimento di uno Stato palestinese da parte delle Nazioni Unite nella
prossima sessione di settembre – la quale modificherebbe secondo il diritto
internazionale la natura stessa del conflitto, da confronto regionale a
classico confronto tra Stati – la riunificazione potrebbe portare ad una
situazione mai vista nella storia della regione dal 1948 ad oggi. Israele rischia
così di subire le decisioni e le azioni della controparte, senza poter contare
su alcun piano politico da opporre.
* Giuseppe Dentice è Dottore in Scienze Internazionali (Università di Siena)
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