Magazine Rugby
Ne parlavo con uno oggi al bar, io dietro il bancone a mescere il vino, lui lì col prosecco. Il problema dello sport in Italia non è (solo) il dilagare dei giocatori stranieri mediocri che si conquistano via via spazio per via del loro passaporto e non dell’abilità. Non è la mancanza di fondi. Ed è una motivazione che viene prima anche delle console che hanno monopolizzato il tempo libero domestico.
Il problema sono le donne. Due categorie di donne, anzi, che così evito di essere tacciato di essere misogino. Le mamme e le maestre.
Lo dice uno che vuole passare la sua vita con una ragazza che vuole diventare sia l’una che l’altra (e io approvo, sia chiaro), quindi che avrebbe ragione di essere preoccupato, se non fosse che sa com’è fatta Lei. Scusatemi se vorrò argomentare un po’ il discorso. Anzi la mia convinzione.
Se quando andavo a scuola io eravamo già in fase di declino, ora si è al caffè. Parlo con il mio babbo e mi racconta di attività che lui era solito fare da bambino e che ora potrebbero essere considerate sport estremi molto pericolosi, tipo le gare di discesa con carrettini (niente a che fare con quelli che hanno reso a noi celebre la voce di Cecinelli) artigianali per strade ripide e pericolose del paese. Oppure l’arrampicata sugli alberi, meglio se alti e secchi. E una miriade di altri giochi che costavano fatica, botte, gambe e braccia sbucciate e sanguinanti. Ma che allo stesso tempo ti sviluppavano abilità.
Al mio tempo i carrettini erano già spariti, sugli alberi era un’avventura ancora più affascinante perché proibitissima dai genitori. In compenso, i giochi abituali con gli amici erano gli stessi che si facevano a scuola al momento della ricreazione: calcio, ciapa-ciapa e l’uomo nero.
Giochi fondamentali, che allenavano “gratuitamente” – e qui veniamo al perché di un articolo così in un blog di rugby – skills altrettanto fondamentali, cioè i calci e la corsa, i cambi d’angolo imprevisti, le variazioni di ritmo e la velocità. Al prezzo, anche qui, di qualche ginocchio sbucciato, di una botta, di un bel litigone con quello che era amico, fino a prima della partita (e anche poco dopo la fine della stessa).
Arriviamo ora all’oggi. Ma li vedete questi bimbi? Le vedete queste mamme? No, ok, levatevi dalla testa l’aspetto esteriore di certe mamme e pensate solo al loro carattere, le loro preoccupazioni e i loro isterismi. Le mamme d’oggi sono quelle che se il loro bimbo spacca un vaso in testa al compagno a scuola e il maestro si sogna di punirlo vanno dritte dritte dai carabinieri a denunciare l’insegnate (lo fanno anche per molto meno, mentre dovrebbero preoccuparsi quando l’insegnante mostra altri tipi di attenzioni…).
Sono quelle che se loro figlio prende una botta alla partitella di calcio corrono in campo a menare quell’altro bambino, quello che l’ha falciato. Sono quelle che piuttosto che il loro bimbo si prenda un raffreddore non lo mandano ad allenarsi alla minima pioggia, che poi magari si sporca anche di fango e chi fa la lavatrice? Sempre loro, le mamme. Che preferiscono che il pargolo giochi alla wii, che diventi un campione di golf virtuale, di ping pong virtuale, di canoa virtuale, di basket virtuale, ma poi non sa neanche calciare un pallone dritto tra due pali.
E le maestre? Sono quelle che vietano i giochi a ricreazione, che vorrebbero che il loro fosse un ambiente di chierichetti (salvo dimenticare che poi all’oratorio lo sport, compreso il rugby, si fa). Ecco le corresponsabili di questa generazione che non corre, non sa giocare a calcio né tantomeno a rugby. Quelle che l’educazione è una cosa seria.
E lo sport cos’è? Cosa c’è di più educativo di una partita (giocata) di rugby per sistemare la testa di un bullo? Come insegnare cos’è l’unione e la cooperazione? Cos’è il sostegno? Cerchino di avere più coraggio. Per noi ma non solo. Perché lo sport ti forma anche per la vita.
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