di Giulia Richard
“Viva la patria, viva l’allegria, viva il socialismo, ‘hasta la victoria siempre’!”
Con queste parole di giubilo esclamate a Caracas con in pugno la spada di Simon Bolivar davanti a una folla esultante e sotto uno spettacolo di fuochi d’artificio, Hugo Chávez ha salutato la sua sofferta rielezione alla guida del Venezuela. Le elezioni presidenziali di quest’anno avrebbero potuto rappresentare un significativo momento di svolta non solo per il Paese, ma per l’intero contesto regionale dell’America Latina. Per la prima volta dal 1999, la Repubblica Bolivariana avrebbe potuto eleggere un nuovo presidente.
Dopo una campagna elettorale difficile, invece, il Presidente uscente è riuscito ad ottenere la rielezione con il 54,4% dei consensi, vincendo in 20 dei 23 Stati che compongono il Venezuela. Il suo avversario, Henrique Capriles, si è fermato al 43,9% e, nella notte, ha prontamente riconosciuto la sconfitta trasmettendo “i propri complimenti al Presidente della Repubblica”. La normalità con la quale si sono svolte le elezioni, la mancanza di polemiche post-elettorali e il pronto riconoscimento della sconfitta da parte dello sfidante, danno comunque l’idea di un’elezione storica, che ha rappresentato un passo significativo sulla via del Venezuela verso la piena normalità democratica.
L’importanza regionale delle elezioni è stata confermata dalla dichiarazione della presidentessa argentina Cristina Fernandez de Kirchner, che ha immediatamente scritto su Twitter la sua gioia: “La tua vittoria è anche la nostra, quella del Sudamerica e dei Caraibi! Forza Hugo, forza Mercosur e Unasur!”
La controversa figura di Hugo Chávez
Al potere da tredici anni, Hugo Chávez ha fondato il Movimento Quinta Repubblica – un partito di sinistra di stampo socialista e nazionalista, liberamente ispirato alla figura del rivoluzionario venezuelano Simón Bolívar – che nel 2007 è confluito nel Partito Socialista Unito del Venezuela, partito attualmente alla guida della coalizione Polo Patriótico, con la quale Chávez si è ripresentato alle elezioni dopo essere già stato riconfermato nel 2000 e nel 2006. In Venezuela il Presidente della Repubblica è eletto a suffragio universale ogni cinque anni ed è al tempo stesso capo dello Stato e vertice del potere esecutivo. Uomo politico ed ex militare, Chávez è riuscito ad essere anche qualcosa di più. Uno dei leader più eclettici e controversi dell’America Latina, forte critico della globalizzazione neoliberista, dell’imperialismo e della politica estera degli Stati Uniti, Chávez è stato da più parti descritto quale un populista autoritario.
La cattiva fama di cui gode in Occidente è dovuta anche ai rapporti di amicizia che lo legano ai vertici politici di Stati quali la vicina Cuba, ma anche di Paesi lontani come la Libia, quando al potere vi era ancora Gheddafi, l’Iran e la Russia. Ben più della “diplomazia dei cuccioli” che Vladimir Putin e il Presidente del Venezuela hanno intrattenuto a mezzo stampa, è la politica anticapitalista ed energetica la principale preoccupazione di Washington e dei suoi alleati. Al tempo stesso, il controverso Presidente è ritenuto dai suoi elettori un rivoluzionario socialista che si batte a favore dell’uguaglianza sociale.
Personaggio fortemente carismatico, la sua azione di governo è stata finora oggettivamente autocratica. Chávez è riuscito, attraverso una consultazione referendaria nel 2009, a modificare la Costituzione, ottenendo così di poter essere rieletto anche oltre il 2012. Nel referendum indetto nel 2007 per la stessa ragione aveva invece prevalso il “no”, grazie all’azione dei partiti studenteschi e di opposizione.
La campagna elettorale: tra malattia, petrolio e ideologia
L’operato di Chávez resta caratterizzato da luci ed ombre. La malattia di cui molto si è parlato lo ha costretto a due viaggi a Cuba per sottoporsi ad alcuni cicli di chemioterapia, per estirpare i residui di un tumore. Le voci a tal proposito sono discordanti: se il diretto interessato afferma di essere riuscito a guarire completamente dalla malattia, alcuni medici brasiliani, dopo aver analizzato gli esami, ritengono che la sua situazione sia “grave”.
In ogni caso, la campagna elettorale di Chávez era iniziata a 100 giorni esatti dalle elezioni presidenziali con questa frase: “Nei prossimi 100 giorni saranno decisi i prossimi 100 anni del Venezuela… una rivoluzione non si misura in un anno o in dieci, ma nei secoli”. Tre mesi contraddistinti da messaggi quali “Chávez, corazón de mi Patria”, “Yo estoy con Chávez, yo voy por el Amor” (ad un lettore italiano potrebbero forse ricordare qualcuno o qualcosa), uniti alla promessa di risolvere uno dei maggiori problemi del Paese: il deficit abitativo, che vede quasi tre milioni di venezuelani vivere in sistemazioni precarie e di fortuna. Proprio negli ultimi giorni dalle elezioni, trentamila famiglie hanno ricevuto appartamenti gratuiti dal Presidente, tappezzate di foto e massime dell’ex militare. Una strategia “tappabuchi”, che cerca di mascherare le falle del sistema: la corruzione della polizia, l’insicurezza (ventimila persone uccise ogni anno, settanta in media ogni settimana, solo nella capitale), il mal funzionamento del sistema giudiziario e la mancanza di infrastrutture.
Su queste promesse mancate, oltre che sul petrolio, che come avremo modo di vedere costituisce un asset fondamentale per l’economia e il ruolo politico del Paese, si è concentrata la campagna elettorale del suo giovane avversario, Henrique Capriles Radonski, avvocato di quarant’anni, dal 2008 Governatore dello Stato di Miranda, due volte sindaco di Baruta, a capo del partito Primero Justicia e della coalizione di opposizione Mesa de la Unidad Democrática (MUD). Capriles aveva promesso di voler utilizzare i proventi derivanti dal petrolio per realizzare programmi quali il “Plan Hambre Cero” (Piano zero fame), a favore dei cittadini, con investimenti di carattere sociale nell’istruzione e nella sanità pubblica.
I sondaggi degli ultimi giorni davano comunque in vantaggio il presidente Chávez, che godeva di una popolarità molto alta, com’è poi stato confermato dai risultati delle elezioni che lo hanno visto trionfare con oltre 9 milioni di suffragi.
Lo svolgimento delle elezioni, i toni tutto sommato “normali” di una campagna elettorale comunque tesa e – non ne dubitiamo – anche l’esito delle elezioni, hanno fatto a dire al Presidente appena rieletto che il Venezuela è “una delle migliori democrazie del mondo”. Gli squilibri sociali, la corruzione, una campagna elettorale perennemente sul filo della tensione e gli eccessi del presidentissimo, porterebbero ad opinioni diverse. Resta, comunque, il risultato notevole di un Paese che ha gestito in modo ordinato un’importante tornata elettorale che se non per 100 anni, ha almeno determinato il ruolo politico del Paese nel prossimo decennio. Il Venezuela resta, infatti, un paese fondamentale per l’equilibrio regionale.
Un Paese strategico e contraddittorio
Il Venezuela è oggi l’undicesimo produttore mondiale di petrolio, il secondo Paese al mondo per riserve petrolifere (211 miliardi di barili nel 2011) e nel 2010 ne era il primo esportatore dell’emisfero occidentale con circa 1,7 milioni di barili al giorno. A dispetto della ricchezza di risorse energetiche, il Paese rimane pieno di problemi e fortemente contraddittorio. Una corsa in taxi può costare più che a Roma, paradosso per una nazione dove con un euro è possibile fare il pieno di benzina. L’inflazione è la più alta dell’America Latina (ha raggiunto il 27,9% nel 2011), due terzi di quello che i venezuelani consumano è importato e la dimensione dell’industria privata è stata praticamente dimezzata negli ultimi anni. La Repubblica Bolivariana si piazza 164esima, su 180 Paesi analizzati da Trasparency International, nell’indice di percezione della corruzione. L’Economist ha collocato il Paese al secondo posto, tra Macedonia e Iran, nella classifica mondiale dei Paesi più poveri.
A testimonianza del forte interesse degli altri membri di avere all’interno del proprio club questo gigante energetico, appena otto giorni dopo la destituzione di Lugo, Uruguay, Brasile e Argentina si sono riuniti a Mendoza decidendo di sospendere il Paraguay fino a nuove elezioni presidenziali aprendo così all’adesione Venezuela al blocco regionale. Oltre a garantire forniture energetiche fondamentali e ad allargare il peso geopolitico globale del blocco sudamericano, il Venezuela costituirà uno sbocco economico e commerciale importante per i paesi membri Mercosur.
L’ingresso del Venezuela nel Mercosur era atteso in particolare il governo argentino, interessato a bilanciare il preponderante peso politico ed economico del Brasile nell’organizzazione regionale. Come ha avuto modo di affermare il Presidente dell’Uruguay José Alberto Mujica, “Non è il Venezuela che entra nel Mercosur, ma il Mercosur che entra nel Venezuela”. Il peso geopolitico del Paese guidato da Chávez va al di là degli atteggiamenti ideologici e populisti del suo presidente rieletto e, in America Latina, è una realtà riconosciuta.
Conclusioni
Al di fuori del Mercosur i grandi alleati anche ideologici di Chávez, come Cuba, Boliva, Nicaragua ed Ecuador, aspettavano con ansia il risultato di queste elezioni presidenziali. La conferma del Presidente in carica gli garantisce un forte alleato, ben collocato all’interno del Mercosur e in generale nella politica internazionale.
La riconferma di Chávez alla presidenza del Paese garantisce un punto fermo negli sviluppi politici della macroregione delle Americhe. In un contesto mondiale che va facendosi multipolare, l’America Latina, con un Venezuela sempre più integrato nelle dinamiche economiche, commerciali e politiche, avrà nel tempo un peso ed un’autonomia crescente.
* Giulia Richard è Dottoressa in Comunicazione Interculturale (Università di Torino)