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Ma quel che è peggio, non è tanto il fatto che la decrescita predichi una sobrietà e una lungimiranza a un mondo in cui la sobrietà è stata gettata a marcire negli abissi fetidi delle discariche di rifiuti del Terzo Mondo, e la lungimiranza è stata svenduta alle compagnie che sfruttano e vessano i loro dipendenti (anche minorenni) rendendoli di fatto gli schiavi del nuovo millennio. No. Il peggio è il fatto che la decrescita richiede impegno, attività e partecipazione. La decrescita impone all'individuo di tornare innanzitutto a essere cittadino e dunque individuo responsabile che fa parte di una comunità che potrà avere un futuro non tanto a partire dalle iniziative individualistiche, quanto dalle scelte condivise. La decrescita sollecita il singolo ad alzarsi dalla comoda poltrona di una vita fatta di abbonamenti e punti premio, di partite di calcio e di grandi fratelli, e di fare propria la lungimiranza di pensare che il futuro proprio e dei propri figli stavolta dipende solo e soltanto, più di ogni altra cosa, da quello che farà lui oggi.
La decrescita chiede innanzitutto all'individuo di lasciare da parte le pantofole e mettersi in marcia per farsi parte attiva del cambiamento, perché è da lì che tutto deve cominciare. Quando si parla di decrescita, il cittadino deve smetterla di demandare il suo futuro alla X su una scheda elettorale, pensando di aver così esaurito il suo compito all'interno della comunità: la politica non ha mai aggiustato le cose (a meno - forse - di non aver toccato veramente il fondo) e tantomeno potrà farlo oggi (a meno - forse - di non toccare veramente il fondo). Ed è da questo punto di vista che il cambiamento della decrescita può davvero essere chiamato "rivoluzione", l'unica auspicabile, l'unica pacifica, l'unica possibile, ma solo e soltanto dentro una condivisione il più allargata possibile. Perché il cambiamento invocato dalla "decrescita serena" chiede alle persone di rimboccarsi le maniche e di diventare, a tutti i livelli, ciascuno nel suo piccolo ambito, ciascuno con il suo impegno, ciascuno con il suo esempio, uno che ci mette del suo, uno che agisce per cambiare le cose, dunque - di fatto - un rivoluzionario.
La difficoltà (e parte della mia mancanza di ottimismo a riguardo, o forse dovrei chiamarlo semplicemente realismo?) risiede nel fatto che se una volta bastava una sola, grande personalità rivoluzionaria per coinvolgere la massa nell'inseguimento di un ideale forte di cambiamento, oggi la rivoluzione della decrescita funzionerà solo se ciascuno si farà rivoluzionario nella consapevolezza consolatoria che, mal che vada, la raggiunta maggiore sostenibilità della propria vita gli potrà essere motivo di salvezza se (quando?) il sistema crollerà imponendo comunque con la forza (ovvero tutta d'un colpo) quella medesima decrescita che la comunità non avrà saputo scegliersi in maniera ragionevole e programmata.
La Filosofia della Decrescita chiede dunque all'uomo di fare qualcosa di equivalente a un vero e proprio salto evolutivo di pensiero, un salto che nell'azione sarà capace di premiarlo in termini di selezione naturale e dunque in termini di maggiori capacità di sopravvivenza in quello che sarà l'ambiente sociale di domani e, soprattutto, di maggiore felicità.
Voi la state prendendo la rincorsa?
/fine (almeno per ora)
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