La folla oceanica.
La volontà granitica.
Le veline impongono slogan corti ed efficaci.
Magistati spioni (che si lamentano della loro violazione della privacy come un B. qualunque), riforme condivise, dialogo con l'opposizione. Chi sbaglia (tra i magistrati solo, però) paga.
Dietro la riforma alla giustizia, lo spirito che la anima è vecchio.
Nel libro "Ne valeva la pena", il pm Armando Spataro parla della indipendenza della magistratura riporta un pezzo della cronaca della cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario 1940:
"Nel vasto salone, presso la cui parete di fondo prestavano servizio d'onore i Moschettieri del Duce, si erano schierati in quadrato aperto su di un lato duecentocinquanta alti magistrati, tutti in uniforme del PNF (partito nazionale fascista, ndr).
La Corte Suprema era al completo col suo Primo Presidente, il Procuratore Generale, i presidenti di sezione, gli avvocati generali e i sostituti. Erano anche presenti tutti i primi presidenti ed i procuratori generali delle corti d'appello del Regno, alti funzionari del Ministero di Grazia e Giustizia ed altri alti magistrati.
Appena apertasi la porta che immette nella Sala del Mappamondo, la figura del Duce - che era seguito dal ministro Grandi - vi si è inquadrata e la devozione e l'entusiasmo hanno avuto il sopravvento sul fermo costume d'imperturbabilità dei magistrati, i quali hanno prorotto in una invocazione altissima.
Il Ministro lesse il seguente indirizzo:" la Magistratura fascista vuole dichiararVi, Duce, che essa si sente consapevole della missione che Voi le avete affidata di custode severa delle leggi della Rivoluzione, e di questa missione essa sente tutti i doveri e la responsabilità. [..]Il magistrato attua il comando del legislatore e la sua sensibilità politica deve portarlo talvolta oltre i limiti formali della norma giuridica [..]".
Dopo la relazione del Ministro interviene il Duce, che così espone la sua concezione sulla posizione istituzionale della magistratura: "Nella mia concezione non esiste una divisione di poteri nell'ambito dello Stato il potere è unitario: non c'è più divisione, c'è divisione di funzioni".
Terminato il discorso del Duce, la manifestazione continuò con intensità viva, appassionatamente vibrante di fierezza e riconoscenza i magistrati continuarono ad acclamarlo e ad invocarlo.
E, quando il Duce si ritirò e la porta si chiuse dietro le sue spalle poderose, sentì l'inno della Rivoluzione trionfante propendere dai petti dei convenuti, i quali con questo canto lasciarono la Sala delle Battaglie."
Eia eia, alalà.
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