“La rilegatrice di Libri proibiti” è un’opera, edita nel 2007, scritta da Berlinda Starling.
Copertina di pelle.
Al tatto è morbida come una schiena umana che si inarca a seguito di una carezza.
Colore scarlatto.
Gli occhi si inebriano del colore del sangue, della passione, della lussuria.
Un libro può essere un danno per una donna perbene, un “damage”.
Corre l’anno 1859 nella grande Londra vittoriana, immersa nel puritanesimo.
La stessa Londra che Charles Dickens ci ha fatto gustare e annusare, nei suoi scritti.
La stessa Londra dove lo stucchevole profumo dell’apparenza delle case padronali si mischia al fetore non celato dei bassifondi.
Le leggi previste dal Lord Campbell’s Act hanno decretato che è illegale pubblicare e diffondere opere letterarie di genere immorale, ma non possederle. La setta dei “Sauvages Nobles”, capeggiata da Sir Knightley, pertanto, si ingegna per collezionare i libri proibiti che la Chiesa vorrebbe condannare alle fiamme del rogo: classici di indiscusso valore, quali il “Decameron” di Boccaccio, il “Satyricon” di Petronio, l’”Ars Amatoria” di Ovidio, ma anche opere di minore spessore letterario, come le memorie di una donna di piacere, Fanny Hill.
“La rilegatrice di libri proibiti” è la storia, che si snoda sotto un cielo sempre plumbeo e gravido di pioggia, di Dora Damage, moglie di Peter, un artigiano gravemente malato di artrite reumatica e, poiché impossibilitato a lavorare, costretto a rivolgersi agli usurai.
A prendere in mano le redini della famiglia, in particolare per amore della propria bimba, affetta dal “mal caduco”, è Dora che, infrangendo il veto che non consente alle donne di esercitare la professione di rilegatore, si accinge, nottetempo, a realizzare, su commissione dei “Sauvages Nobles”, splendide copertine in pelle, impreziosite da pietre, spesso di colore scarlatto.
La protagonista si avvale dell’aiuto di Jack, un giovane apprendista, e, successivamente di Din, uno schiavo nero americano, fuggiasco. Ma, per realizzare bene il suo lavoro, Dora deve necessariamente leggere i libri che riceve.
“La rilegatrice di libri proibiti” è, dunque, non solo un racconto di eventi tramite il prisma del romanzo storico, ma un climax di emozioni che si agitano nell’animo di una donna che scopre la propria indole, i propri desideri, la propria sensualità carnale, il limite sottile fra repulsione e fascinazione, pur non dimenticando i doveri di madre e di moglie.
«Sacrificio. A volte bisogna essere pronti a perdere chi si ama per dimostrargli il proprio amore. Mia madre rinunciò alla libertà per amor mio, e io ho rinunciato alla fuga per amor suo. La misura dell’amore è in ciò che siamo disposti a perdere nel suo nome. E io rischiavo di perdere me stessa. In quel momento seppi cosa desideravo, cosa volevo da quell’uomo e capii che non ne avrei avuto neppure la metà».
È un romanzo capace di regalare suspance e colpi di scena dai toni scabrosi, ma che, soprattutto, si sofferma sullo scontro, impari, fra sesso, razza e rango, proprio dell’età vittoriana: un mondo costruito, precariamente, su disvalori, discriminazioni, tabù, segrete ossessioni e dicotomicamente lacerato fra l’ozio dei ricchi e la lotta per la sopravvivenza degli indigenti.
A onor del vero, la nostra Berlinda scivola un po’ nello stereotipo e, nel romanzo, non c’è presa di distanza dal contesto storico narrato, che è filtrato da uno sguardo odierno e non calato nell’epoca presa in esame.
Tuttavia, l’autrice ha creato, come carne viva, come intreccio di vene percorse da sangue, un’eroina, se pur con indosso stivaletti e gonne fruscianti, moderna, coraggiosa, forte e capace di imporsi nella sua femminilità.
Emma Fenu