13 ottobre 2011 di Massimiliano Scordamaglia Lascia un commento
Rincasò, come ogni sera, alle otto in punto; dopo la solita partita a perdivinci in cui, per aver vinto, aveva perso duecento lire .
Gli era capitato come compagno, in una delle due coppie del giuoco, Nicola Spitale: un campione in tutti gli altri gluochi, e specialmente nel quaranta; ma nel perdivinci gli si potevano rimboccare le coperte e spegnergli la luce, ché quel giuoco, diceva, gli metteva invincibile sonno: l’occhio gli si illanguidiva, colava sulle carte uno sguardo vacuo e lontano .
‘Ci sono dei giuochi che non mi piacciono, che mi annoiano; e se mi invitano ad entrarci io dico di no. Lui invece a perdivinci casca di sonno, giuoca come una bestia: e mai una volta che rifiuti di entrare nella partita’ Così con tutta la bile stillata nelle due ore del giuoco, pensava Michele Tricò del suo amico Nicola; e tanto era assorto a rimuginare la partita che non notò subito il buio e il silenzio che c’erano nella casa; e andava accendendo tutte le luci, e solo all’ultima, in cucina, si accorse che la moglie non c’era .
Chiamò “Filomena” e dalla camera da letto venne un piccolo tonfo, un fruscio .
Entrò, ancora sentì un fruscio da sotto il letto. ‘E che si è cacciata sotto il letto?’ si domandò.
Sollevò un lembo della coperta: c’era il gatto gnaulò da orfano, da morto di fame .
‘E dove se n’è andata?… A quest’ora, poi… Forse l’hanno chiamata da sua madre.’
Vide la suocera sul letto di morte. Era tempo. Una vecchia ferrigna, ottantacinque e passa, e cattiva, velenosa di lingua, piena di puntigli e capricci .
‘Ci vado’, decise. Girò a spegnere tutte le luci, scese le scale, chiuse a doppia mandata la porta. ‘Certo ci sarà da fare la nottata, mi ci voleva proprio una veglia col raffreddore che ho addosso.’ Si avviò verso la casa della suocera, all’altro capo del paese .
Ma la vecchia stava bene, vivace come una ciaula: gli occhietti lucidi, il becco pronto. Gli aprì il portone stando sul ballatoio, senza dargli il tempo di salire la scala bruscamente gli domandò cosa volesse .
“C’è Filomena?” “Non c’è” disse la vecchia; e come congedo “Tira forte la porta, ché non chiude bene.” “A casa non c’è: dove posso trovarla?” insistette Michele .
“Sarà in chiesa” disse la vecchia ritirandosi e spegnendo la luce .
Michele si tirò dietro la porta con un colpo che parve una cannonata. “In chiesa: e che ci fa in chiesa, a quest’ora? Che funzione ci può essere alle nove di sera?” La chiesa di santa Filomena, a due passi da casa sua: e aveva attraversato il paese, per andare dalla suocera. Senza dire del sangue che gli veniva alla testa, ogni volta che vedeva la vecchia. ‘Mi sentirà: le farò perdere la voglia di andare in chiesa finché campa.’
C’era gente, davanti alla chiesa. ‘Forse c’è festa; o hanno inventato una funzione nuova, una messa notturna: non sanno più che inventare.’ Avvicinandosi, notò molti carabinieri. ‘Sarà festa grossa, forse c’è il vescovo.’ “Tricò” si sentì chiamare. Era il brigadiere .
“Desidera?” domandò Tricò, risentito, pronto a romperla col brigadiere e con chiunque .
“Anche lei vuol fare la rivoluzione per santa Filomena?” chiese con minacciosa ironia il brigadiere .
“Che rivoluzione? Che santa Filomena?” “Come, lei non sa niente?” disse il brigadiere: ironico, minaccioso, incredulo .
“Non so niente di niente” disse Tricò, con così evidente innocenza che il brigadiere gli credette .
“Le donne: stanno dentro la chiesa” spiegò il brigadiere “e non vogliono uscire .
Temono che calino giù dall’altare la statua di santa Filomena: non si muoveranno dicono, se l’arciprete non giura che la statua resterà dov’è.” ‘Ho capito: la storia di santa Filomena. Ė da un pezzo che se ne parla. Ma chi glielo fa fare, ai preti? Una chiesa dedicata a santa Filomena, un paese pieno di Filomene una festa per santa Filomena che dura una settimana intera, con fiera e fiaccolate, processioni, cavalcate, le case che tremano per i mortaretti, i dolci impastati col miele: e di colpo vien fuori il decreto che santa Filomena non è mai esistita.’ “Io vengo a prendere mia moglie” disse al brigadiere .
“Vada: se ci riesce… E magari venissero tutti i mariti a prendere le loro mogli.. .
Questa è una grana forte, caro Tricò…” il brigadiere gli sorrise di alleanza, di amicizia .
Aveva creduto che i comunisti c’entrassero in qualche modo, nella protesta delle donne: proprio quella mattina un cartello aveva fatto rimuovere che di notte qualcuno aveva attaccato ai piedi del monumento a Garibaldi, c’era scritto in lettere da messale, rosse e nere, ‘Martyrologium Romanum: Apud Septempedanos, in Piceno, sanctae Philomenae Virginis’, ogni lettera alta un palmo. Il bello è che lui aveva visto il cartello, ma gli era parso cosa di chiesa, avviso per le Quarantore o crociata contro la bestemmia.
E che il posto inconsueto, proprio ai piedi di Garlbaldi, fosse uno sfizio dell’arciprete. E invece appunto l’arciprete gli telefonò, verso le undici, che era uno sconcio, e che sull’attaccamento dell’Arma alla Chiesa un dubbio cominciava a torturarlo. Il brigadiere gli fece osservare che l’Arma, dal maresciallo in giù, non sapeva di latino e, personalmente, niente che riguardasse santa Filomena. Il cartello, comunque, era stato tirato giù: e la paternità di esso, concordemente dall’arciprete e dal brigadiere, attribuita ai comunisti. Ma ora, per il fatto che Tricò, segretario della Federterra, gli era parso sinceramente all’oscuro dell’affare, il brigadiere aveva tirato respiro .
Michele entrò in chiesa; per modo di dire, ché appena superata la porta si trovò schiacciato contro il muro come una sogliola. ‘Cristo: e tante donne ci sono nel paese?’
E come trovare sua moglie, in quell’arruffo di donne e di bambini? Tra l’altro, la chiesa era quasi al buio: poche candele accese davanti agli altari e le lampade ad olio davanti alle stazioni della via Crucis.
Buona idea dell’arciprete, o del brigadiere, quella di spegnere le luci: e un pover’uomo che veniva a prendere sua moglie avrebbe dovuto armarsi di una lanterna. E quasi non bastasse il buio, c’era il pianto dei lattanti; e un acre lezzo di sudore, di panno bagnato, di trigonella. ‘Io me ne vado: un boccone in trattoria e poi a casa, a letto… E lei, quando sonno e fame la pungeranno, tornerà a casa: e mi sentirà.’
Ma l’assalì il puntiglio: che anche sua moglie, proprio sua moglie, si fosse messa a far sedizione per santa Filomena. Si spinse in avanti gridando “e fatemi passare, Cristo di Dio!” espressione che suonò tanto scandalosa da consentirgli, per l’orrore intorno suscitato, uno slargo, un passaggio. Tra le facce che intorno gli si aprivano come le liquide pareti di un gorgo, ne distinse una: sua nipote Filomena. Aveva il bambino attaccato al petto .
“Dov’è Filomena?” le domandò .
“Più avanti, verso il coro.” ‘Ė andata a piazzarsi in prima fila,’ pensò, ‘come a teatro.’ E alla nipote disse “E porta fuori il bambino, non lo senti che qui si soffoca?” Un mormorio di disapprovazione accolse le sue parole .
La nipote non si mosse .
Faticosamente avanzò verso il coro. Quando giunse alla balaustrata vi si appoggiò contro, stremato. Dall’alto, santa Filomena lo guardava: uno sguardo di quelli che si sogliono fare alle statue in modo che, comunque uno si sposti, non ti lasciano; ma benigno, dolce: non come quello del Padreterno di Monreale, che ti incenerisce. ‘E non esiste più, santa Filomena… Non è mai esistita.’ Acquietò con questo pensiero l’infantile sentimento, di devozione, di paura, che sentiva crescersi dentro: e voltò le spalle all’altare, agucchiando tra le prime file. Non vedeva sua moglie, nelle pupille le facce gli cominciarono a danzare secondo l’avaro e incerto fiottare della luce: ché c’era una corrente d’aria, aperta forse per strategia dell’arciprete, e le flammelle parevano dovessero spegnersi da un momento all’altro; e a quel soffio tra la carne e il vestito il sudore gelava .
Ad un tratto scoprì sua moglie: la faccia insoggolata da un velo nero, come per lutto, gli occhi spauriti puntati su di lui. ‘Sperava che non la scoprissi.’ Le si avvicinò, traboccante di collera ma in apparenza calmissimo “Andiamo a casa” disse .
“Non posso” disse Filomena “staremo qui finché l’arciprete non ci fa giuramento che la Santa resterà sull’altare. “ “Andiamo a casa, ti dico.” “Non vengo.” “Ah, non vieni…” disse Michele. Il tono era di fredda minaccia, ma in verità non sapeva che fare: si era cacciato in una di quelle situazioni in cui è difficile pigliar partito tra il dramma e la farsa. La rivolta della moglie apriva un baratro nella sua visione del mondo; una visione in cui il maggiore Gherman Titov veniva ad imbattersi, nel suo volo orbitale, nella buonanima di Michele Tricò, morto a novant’anni nel 1929, di cui lui, figlio del figlio, portava, oltre che il nome, quel giusto giudizio sulle donne in genere e sulle mogli in particolare che dallo sbarco di Garibaldi al Concordato il nonno aveva così rigorosamente messo in pratica da lasciarne luminosa memoria; non che alla famlglia, al paese.
Buone solo a una cosa aveva sentito giudicare le donne dal vecchio: quando il vecchio quella cosa non era più in grado di praticare e lui, giuocandogli accanto e pronto a ricaricargli la pipa o a correre per un bicchier d’acqua, non sapeva ancora in che quella cosa consistesse .
“Non vengo” disse di nuovo Filomena .
“Tua madre” disse Michele. Gli era venuta improvvisa l’idea di armare un piccolo inganno, uno scherzo in cui rifarsi del trattamento della suocera e della rivolta della moglie .
“Mia madre che?” si allarmò Filomena .
“Niente” disse Michele, fingendosi imbarazzato come chi porta grave notizia e vuol usare precauzione a comunicarla “una cosa da niente…” “Che è successo?” quasi gridò Filomena alzandosi di scatto .
“Una cosa da niente, ti dico… A pensarci bene, puoi anche restartene qui: tanto, c’è il medico, c’è il parroco…”
“Il medico, il parroco… E dunque cosa grave è?” “Un piccolo insulto, ha solo perduto la parola” e pensò ‘magari fosse vero’ .
Filomena si volse alle donne che le sedevano vicine, disse “Avete sentito? Mia madre ha avuto un insulto, debbo andarmene…” attraversò la fila e al marito disse “Andiamo” e verso l’altare di santa Filomena si voltò a segnarsi di croce, a chiedere perdono, prima di avviarsi .
Michele guardò di nuovo la Santa. La tunica bianca, la cintura d’oro, la palmetta verde in mano. ‘Pare una comparsa del Quo vadis.’ La traversata fu agevolata dal fatto che sua moglie andava giustificando la defezione dicendo: “mia madre ha avuto un insulto, debbo correre…” e le donne compiangendola aprivano loro il passo.
Ma prima di arrivare alla porta Michele si fermò per dare un ultimo avvertimento a sua nipote Filomena, che se ne stava in piedi a cullare tra le braccia il bambino in pianto, a sussurrargli una canzone di sonno. Brutalmente le disse “Com’è vero Dio, questo bambino ti muore: in gloria di santa Filomena” sollevando intorno una marea di indignazione .
“Scomunicato!” gli gridarono .
“Scomunicate siete voi, che vi state mettendo contro il Papa” gridò Michele subito svicolando, appresso a sua moglie, dalla porta. Squagliava di sudore, le orecchie gli bruciavano: e si fermò sulla soglia della chiesa a prendere respiro .
“Congratulazioni” disse il brigadiere “ce l’ha fatta.” “Ce l’ho fatta sì” disse Michele “ma è un inferno… Mi creda, non c’è che una soluzione: lasciarle cuocere nel loro brodo…” “Eh sì, sono anch’io di questo parere… Ma aspetto ordini… Vedremo…” “Auguri” salutò Tricò .
“Andiamo” si impazientì Filomena .
“Ti è venuta la prescia” constatò Michele muovendosi dietro a lei come se stesse a godersi una passeggiata .
“Certo che mi è venuta: mia madre ..” “A proposito: perché non te la sei tirata dietro, a far sciopero per santa Filomena?.. .
Forse un insulto le veniva davvero, dentro quel calderone…” “E allora non è vero!” “Che ha avuto un colpo?… Certo che non è vero: l’idea appunto mi è venuta che l’avevo vista un momento prima, e stava meglio di me.” “La vuoi morta, povera vecchia: e che ti ha fatto?” disse con voce di pianto Filomena “Tu lo sai meglio di me, quello che mi ha fatto.. Ma ora il discorso è un altro: dobbiamo parlare di quello che stasera mi hai fatto tu…
E come ti viene in mente, sapendo come io la penso, a metterti in quella cagnara?” Erano già a casa, e Filomena aveva cominciato ad affaccendarsi in cucina, muovendosi più precipitosamente del sollto, per preparare la cena .
“Non era una cagnara: le cagnare sono quelle che fai tu… La nostra era una cosa muta: ci vogliono togliere la Santa, e noi ce ne stiamo in chiesa a guardarla…” “Ignorante, sei ignorante come una mucca…” “Io so che la Santa c’è sempre stata, che ha protetto questo paese ed ha fatto miracoli, che per lei ci sono state messe, tridui…”
“E questo che vuol dire? Un tizio aveva letto nelle catacombe una lapide, l’aveva capita per il verso sbagliato: che sotto c’erano le ossa di una vergine di nome Filomena, e non era vero niente, l’iscrizione voleva dire un’altra cosa…” “Non può essere… E i miracoli? Dove li metti i miracoli ?” “Li metto…” Michele si portò una mano alla bocca, a sigillarvi la greve espressione che stava per pronunciare. “Lasciamo perdere, il problema non è questo: il problema è se tu e tutte quelle sventurate che stanno in chiesa siete o non siete cattoliche.”
“Certo che siamo cattoliche!” “E allora quando vi dicono che santa Filomena non esiste, che non è mai esistita, mettetevi la coda tra le gambe e tirate via senza guardare né a dritta né a manca.. .
Se l’arciprete vi dice che chi non vota per la Democrazia Gistiana va all’inferno, gli credete; se vi dice che santa Filomena non esiste, fate la rivolta… Queste son cose da pazzi !” “Non capisci niente” disse Filomena .
“Io non capisco niente?” esplose Michele. “Io? Ma io capisco tanto che la cosa sto portandola per come tu, che dici di essere cattolica, dovresti afferrarla… E ora te la volto per il verso mio: e ti dico che sei ignorante col palmo e con la giunta, e che questa è una storia da far ridere anche le pietre…”
Gettando manate di cavoli nella pentola che bolliva Filomena silenziosamente piangeva, piangeva la sua croce di avere un marito che non credeva né a Dio né ai Santi .
“Piangi sulla tua ignoranza, che è più nera della morte.” “I miracoli” insorse Filomena “ci sono i miracoli: i miracoli non li può negare nessuno…” “Questo è il bello della storia: che ci sono i miracoli… Io mi ricordo quando tua madre vide in sogno santa Filomena, e aveva tre numeri in mano: e la vecchia li giuocò e vinse il terno. Santa Filomena che porta i numeri del lotto, già la cosa era da ridere… Ma c’è di peggio: c’è che un prete, che aveva visioni di santa Filomena, per queste visioni è diventato quasi Santo; un prete francese, non ricordo come si chiamasse…”
“Lo vedi che santa Filomena c’è?” “Caspita, che testa! Santa Filomena non c’è, bestia che sei: ed è il Papa stesso che te lo dice… E che interesse può avere il Papa, in questo caso, a dirti una cosa per un’altra: per far nascere cagnara?… Santa Filomena non esiste: e basta… Ed il bello è che pur non essendo mai esistita quel prete francese e tua madre, e tanti altri preti, e tante altre donne l’hanno vista così come io vedo te.”
“C’è” disse Filomena, ferma come una roccia .
“Non c’è, non c’è mai stata” disse Michele “e la caleranno giù dall’altare: e al posto di santa Filomena metteranno un’altra Santa e tu continuerai a portare i ceri in chiesa, a far dire messe, a votare secondo il consiglio dell’arciprete… E tua madre vincerà qualche altro terno, coi numeri che le darà la.nuova Santa…
Finché non verranno a dirvi che un tizio aveva sbagliato ancora a leggere una lapide…” Uscì dalla cucina e sedette a tavola, aspettando che Filomena gli portasse i cavoli e l’uovo bollito.
Tirò dalla tasca il giornale come ogni sera; lo aprì. Se ne era dimenticato: invece di fare quella discussione inutile, ché discutere con una donna è come lavare la testa all’asino, avrebbe potuto leggersi in pace ‘I’Unità’. Il suo occhio corse per i titoli: Registrata dagli osservatorii di tutto il mondo Esplosione nella Nuova Zemlija la ‘superbomba’ sovietica. Disarmo generale! ‘Quando ci vuole ci vuole: ora lo sanno che la nostra bomba è più forte della loro.’ Al XXII Congresso del PCUS decisa la rimozione di Stalin dal mausoleo .
“Gli occhiali” gridò “portami gli occhiali” che per lo scritto piccolo ne aveva bisogno .
Filomena portò subito gli occhiali .
Michele si immerse nella lettura. Il piatto dei cavoli gli fumava davanti.
Squassò freneticamente il giornale in cerca della pagina nove, della terza colonna. Eccola: ‘se accaduto per colpa di Stalin… che sia riconosciuto come irrazionale conservare la tomba di Stalin nel mausoleo… La risoluzione è messa ai voti. I delegati alzano il mandato rosso. La proposta di rimozione della salma di Stalin è approvata alla unanimità.’ Violentemente la mano di Michele Tricò lanciò il giornale verso il soffitto; i fogli planarono parte sul pavimento, parte sulla macchina da cucire .
“Che c’è?” domandò Filomena .
Michele affondò la forchetta nel piatto dei cavoli. La moglie lo guardava, preoccupata che si riprendesse la questione della Santa .
“Niente” disse Michele “niente.”
LA RIMOZIONE di Leonardo Sciascia letto da GianMaria Volonte’