di Grazia Nonis. Mi consegnò la lettera di licenziamento l’otto agosto, l’ultimo giorno di lavoro prima delle ferie. Così, sue due piedi. Quattro anni in azienda e nemmeno una spiegazione, un mi dispiace. Lo stipendio non era poi così male anche se, e a dispetto dei sindacati, delle tutele e delle baggianate con cui si riempiono la bocca i politici, la mia busta paga era confezionata e pompata ad arte. La famosa arte escogitata ad hoc per truffare i lavoratori. Otto ore dichiarate contro le dodici o quattordici lavorate, duecento euro sotto la voce “trasferta” e qualche manciata di spiccioli
in nero. Prendere o lasciare. Quando cominciò a calare il lavoro, il mio titolare chiese la cassa integrazione in deroga facendoci lavorare otto ore e dichiarandone quattro. Le altre quattro le faceva risultare di cassa. Poco alla volta anche la “trasferta” sparì, ed il salario si tramutò in una mancetta che mi bastava solo per pagare l’affitto e qualche michetta per non morire di fame. Muto e zitto, come muti e zitti devono rimanere quelli che lavorano sotto le regole del nuovo contratto nazionale a ricatto speciale: se ti va bene è così, sennò dietro di te ce ne sono mille pronti ad accettare. Non avendo più niente da perdere mi recai dai sindacati, e spiegai quant’era stato bravo il mio ex capo a fregare me e lo Stato. Mostrai anche alcune prove materiali a conferma delle ore fatte in più ma mai pagate. Dopo un consulto con l’avvocato e la verifica dell’avvenuto accredito dello stipendio e della liquidazione, i rappresentanti dei lavoratori mi consigliarono di desistere, di lasciar perdere, di buttarmi tutto alle spalle e di trovarmi un altro lavoro. Ma come, quello che era successo a me era ed è la prassi! Ma come, ci dite di denunciare e poi ci zittite calpestando i nostri diritti e la ragione stessa della vostra esistenza, quella di difendere e tutelare i diritti dei lavoratori. Avrei voluto sputare in faccia a tutti i sindacalisti presenti intorno a quel tavolo, ai difensori dei lavoratori di serie A, i paladini degli assenteisti, i protettori di chi protezione non necessita. Ma non lo feci, ingoiai il groppo che mi bloccava la gola, girai le spalle e me ne andai. Feci la pratica di disoccupazione che m’avrebbe sfamato per otto mesi, e dopo aver inviato centinaia di curriculum riuscii a farmi assumere in un’altra azienda. Anche in questo caso il contratto era taroccato, 6 ore e mezza giornaliere sulla carta contro le dodici lavorate. A queste andavano sommate due mezze giornate il sabato e la domenica. Millecento euro netti in busta e duecento euro in nero. Stipendio fisso, intoccabile, nemmeno un euro in più né per gli straordinari feriali né per quelli festivi. Giugno arrivò, e con lui la quattordicesima mensilità che non mi venne mai accreditata e che, ovviamente, non andava richiesta. E chissenefrega se era prevista dal contratto. Oltre ad essere un cattivo pagatore, questo “kapò” era anche un artista in maleducazione, i suoi insulti nei nostri confronti erano all’ordine del giorno. Per lui eravamo tutti una manica di deficienti, parassiti. Non meritavamo nemmeno di venir pagati. Tant’è che non ricevetti mai lo stipendio alla data stabilita. Anche la puntualità di pagamento ce la dovevamo meritare. Ovvio, tranne il solito collega intoccabile, il lecca-non solo-il culo che s’era sbucciato le ginocchia a furia di stare a quattro zampe sotto la scrivania del nostro boss. Mi dannai per trovare un altro posto di lavoro, e nel mentre maledivo tutti quei politici che parlavano di ripresa, del Jobs Act e di tutte le altre fandonie che s’erano inventati per prenderci pel culo. Ma dove, ma chi l’hai mai vista ‘sta ripresa! E ‘sto Jobs Act a chi conviene, a noi lavoratori o solo a chi ci assume?! Finalmente trovai un altro posto di lavoro. Niente di eccezionale, solito contratto che pare sia avallato timbrato e certificato dai sindacati italiani, e da questo Stato assente e volutamente non vedente: sei ore e trenta sulla carta ma dieci lavorate; due sole settimane di ferie pagate, niente tredicesima e niente quattordicesima. Di straordinari manco a parlarne. Morti da tempo non verranno più riesumati. Accettai, che altro dovevo fare? Lavoro ancora per lui, solite dieci ore lavorate ma pagate poco più di sei. Di buono c’è che questo “padrone” non mi schifa, è educato, mi rispetta e paga puntuale. Nel frattempo ho chiesto in giro, chiacchiere tra amici. Se togliamo dal mucchio i dipendenti statali e quelli che lavorano per aziende molto grosse, la maggior parte vive la mia stessa realtà. Anzi, in alcuni casi la mia pare migliore di altri. Ho raccolto sfoghi in merito a situazioni lavorative talmente infami da far rivoltare nella tomba i fondatori del primo “movimento operaio”. Uomini che, se dovessero fare come Lazzaro e risorgere, toglierebbero la pelle e le palle di dosso agli attuali sindacati. Dimenticavo: il mio ex capo non mi ha ancora pagato, né l’ultimo stipendio né la liquidazione. Quando telefono in ditta non si fa trovare, ignora le mie mail ed al cellulare non risponde. I soldi li ha, ma deve ancora decidere se merito quello che per legge mi spetta.