La riscoperta del Medioevo, con la vera colonna sonora

Creato il 31 ottobre 2011 da Senziaguarna

di Armando Torno

Esce l’atlante musicale dell’Età di Mezzo: suggestioni mistiche e teorie sulle armonie delle pietre nelle cattedrali. Vetrate, affreschi, architetture e note parlavano la stessa lingua, in una creatività interdisciplinare.

Il re Davide e la sua arpa - miniatura da salterio, 1170, Glasgow University Library.

Dante paragonava la musica al pianeta Marte. Similmente al corpo celeste, considerato il più caloroso, ha un rapporto di fuoco con le altre arti e cattura i sentimenti degli uomini. Nel Convivio scrive: «Trae a sé gli spiriti umani che sono quasi principalmente vapori del cuore sicché quasi cessano da ogni operazione». L’evocata «relazione» è l’armonia di cui parlarono gli antichi. I pitagorici la intesero come anima, in quanto proporzione e mescolanza degli elementi del corpo.
Per questi e per infiniti altri motivi l’uscita di un Atlante storico della musica nel Medioevo – progetto editoriale di Vera Minazzi, introduzione e conclusioni di Alberto Gallo, alla cura ha partecipato Cesarino Ruini – è un evento. Lo pubblica Jaca Book (pp. 290, 85) e, contemporaneamente, tre altre case: Herder, la francese Cnrs e Brepols (inoltre stanno chiudendosi i contratti con Spagna e Polonia). Del resto, un lavoro con queste caratteristiche mancava non soltanto in Italia, dove l’editoria musicale fa quel che può quando riesce, ma anche nei Paesi in cui non è Cenerentola.

Menestrelli con viella e liuto - miniatura dalle "Cantigas de Santa Maria" di Alfonso X di Castiglia - 1280

Che cosa fa di questo Atlante un’opera degna di attenzione? Diremo innanzitutto che nelle storie del Medioevo, periodo continuamente indagato anche per le fiction, manca la musica. Di contro, nelle storie della musica medievale – per esempio, in quella notevole di Gustave Reese – non c’è il Medioevo.
Eppure nell’età di mezzo arti e vita si amalgamarono come non mai. La cattedrale, simbolo fascinoso di quel mondo, oltre che luogo di preghiera e di ritrovo era anche lo spazio nel quale convivevano e si contaminavano messaggi e simboli della creatività. Vetrate, affreschi, architetture e note parlavano la medesima lingua. Per questo si osò affermare che a Parigi, in Notre Dame, il segreto della pietra filosofale fu racchiuso nel colore di una vetrata (tesi di Fulcanelli); e che per quell’ architettura sorta su un antico tempio di Iside maestri musici quali Perotinus e Leoninus composero messe le cui note si adeguavano a spazi e forme, tanto che gli effetti mutavano a seconda del luogo. Di più: nei giorni di pioggia demoni, grifi e tarasche in pietra che proteggevano all’ esterno la cattedrale entravano in risonanza e la sinfonia da essi liberata variava a seconda degli scrosci (ne parlò Elémire Zolla).

Vegliardo dell'Apocalisse con strumento musicale - particolare del Portale di Sant'Anna dalla Cattedrale di Notre-Dame di Parigi - XIII secolo

Ora l’Atlante mostra il luogo della musica nella cultura e nella vita medievale, ricercando abbracci sacri e profani smarriti nel tempo. Per dirla in soldoni, quest’opera ha carattere interdisciplinare o multidisciplinare; in essa, accanto ai principali musicologi di fama internazionale specialisti del periodo, ci sono storici della filosofia, studiosi di acustica, archeologi. Circa 45 gli autori. Il carattere innovativo è dato anche dalla rappresentazione visiva degli intrecci: molte le cartine, dedicate per esempio alla diffusione dell’immagine di Orfeo o alla fortuna delle polifonie semplici; ogni sezione è aperta da una doppia pagina cartografica di contestualizzazione geopolitica e storico-culturale. L’apparato iconografico è ricchissimo. La maggior parte delle illustrazioni è sconosciuta (l’ultimo capitolo mostra l’immaginario musicale umanistico). Si supera in ogni parte dell’Atlante l’angusta mentalità scolastica delle periodizzazioni storicistiche e dei blocchi cronologici. La musica del Medioevo ritorna e offre consigli per leggere un passato che continua a vivere mescolandosi al contemporaneo, anche se assente nei teatri, dimenticata dai cartelloni dei festival, costretta in riserve che la eseguono con frigida filologia. Ma quest’opera ne riscopre complessità e messaggi.
Così quelle armonie ridiventano, per così dire, il sottofondo di un’epoca che non ha ancora svelato tutti i suoi segreti. E, tra i tanti, ecco riapparire quelli del monastero catalano di Sant Cugat del Vallès, noto per il chiostro con coppie di colonne di Arnau Cadell, artista qui presente tra il 1204 e il 1207. Marius Schneider in Singende Steine (Pietre che cantano) studiò l’ orientamento delle architetture e numerò i capitelli. Osservando gli animali scolpiti, si accorse che ad ognuno di essi, fissato nella pietra, corrispondeva una nota dal valore di croma. Il pavone, il bue o il leone erano dunque le sorgenti di una musica che un giorno venne qui congelata. I suoni si consegnarono al sonno. E attesero. I capitelli di Sant Cugat con i lacerti di accordi ossidati dal tempo non sono resti di un mondo svanito, ma testimoni di una spiritualità che veglia silente nelle anime. In quelle note si sono imprigionate sensazioni eterne. Nate insieme alle cattedrali, ai chiostri, agli animali di pietra, ai penitenti che urlavano per le vie i loro peccati, ai menestrelli, ai giullari. E alle parole di Dante.

da “Il Corriere della Sera”, 18 ottobre 2011, p. 41

Per approfondire
http://www.instrumentsmedievaux.org/apemutamsite/



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