“Gejusanèja mia, Gejusanèja, di la Gejusa siti la cchjù beja.
Pe’ li bejzzi e lu garbu ch’aviti, di la Calabria la cchjù beja siti.
Pemmu lu dicu forsi non su’ degnu, vu’ siti la cchjù beja di lu Regnu.
E pemmu vi lu dicu chjaru e tundu, vu’ siti la cchjù beja di lu mundu”.
Questi semplici versi sono dedicati ad una bella “gioiosana”, una ragazza di Gioiosa Jonica, un piccolo paese situato nella Locride, in provincia di Reggio Calabria. Visivamente ricorda un presepe con casine arroccate che a prima vista profumano di vecchio ma che se guadate con attenzione risplendono di antichità e di un passato lontano stratificato sotto gli spessi strati di intonaco e manifesti mortuari impressi sui muri come disegni rupestri su grotte primitive.
Non voglio raccontarvi la storia del paese, fior fiori di studiosi si sono occupati dell’argomento in modo approfondito, ma preferisco condividere con voi le sensazioni che mi ha regalato la visita al borgo in un giorno qualunque, durante un pomeriggio “diverso”.
Il paese è ben curato, qua e là nelle viuzze si nota qualche busta svolazzante che gli conferisce l’aria di borghetto solitario. Ogni tanto si scorge un anziano che cammina con le mani conserte dietro la schiena e che timidamente accenna un saluto con un lieve movimento del capo, oppure una bambina che uscendo di corsa dall’uscio di casa urla “ciaoooo”, mentre il suono del martello di alcuni operai a lavoro risuona tra le viuzze del borgo. Inizialmente ho visitato il centro Recosol per ammirare il murales di Emilio Fameli su una parete esterna della struttura che illumina la strada come un arcobaleno colorato. La seconda tappa è stata a Palazzo Amaduri per chiedere la cartina del paese, e da subito abbiamo notato l’accoglienza di chi lavora all’interno, come quella del gentile signore, di cui purtroppo non ricordo il nome, che da subito si è adoperato per trovare delle mappe e dei dépliant, ma anche la disponibilità del giovane sindaco Salvatore Fuda che ci ha dato informazioni storiche sul paese, oltre a proporsi come cicerone, giusto per una quindicina di minuti, il tempo di mostrarci i punti nevralgici da ammirare successivamente a piedi.
Arrivati al castello di Gioiosa Ionica, io e Giuseppe, amico e instancabile amante della Calabria, abbiamo percorso una stradina e siamo giunti alla chiesa Matrice, bellissima con i suoi mattoni a vista che è interamente profilata con delle lucine “da festa di paese”, alcune mancanti e altre presenti che la ammantano di un fascino antico, come se da un momento all’altro al rintocco della campana potessero fiaccamente riaccendersi.
Iniziamo la discesa verso il paese, e da subito si aprono scorci e viuzze piuttosto pittoresche: case disabitate, portoni scardinati, porte chiuse con catenacci artigianali e vie molto strette ma lussureggianti di verde e con fiori coloratissimi come se si accedesse all’interno di una serra. Alle piccole case si intervallano grandi palazzi signorili in cui le facoltose famiglie gioiosane un tempo vivevano, e che ormai tradiscono la grandezza di un passato molto lontano, forse troppo lontano, perché purtroppo esternamente la maggior parte dei palazzi sono flagellati dal tempo e dalle intemperie. In questo gradevole girovagare per le vie del centro ad un certo punto siamo giunti ad un giardino recintato con una piccola entrata alla cui sommità vi sono due piccoli busti di uomini con elmo. Colti da un’irresistibile curiosità abbiamo cercato di vedere cosa ci fosse all’interno e il giardino è dominato da una folta vegetazione incolta, da cespugli di asparagi, una piccola scala con quattro gradini e un albero molto alto al centro. E ancora in giro per il paese altri palazzi antichi e tantissimi portali decorati con bugne, mascheroni mefistotelici e putti con le gote e le sporgenze del viso corrose dall’acqua e dal tempo.
Il meteo non è stato clemente con noi due viaggiatori perchè dopo aver visitato la chiesa di San Rocco e visto la statua del Patrono del paese è iniziato a piovere, e quindi dopo aver dato uno sguardo veloce all’adiacente Chiesa di S. Pietro e Paolo, attraversato al suo interno interamente da rovi, un rudere di cui rimane la facciata e forse le pareti perimetrali, ci siamo diretti verso Palazzo Ajossa, ammantato da addirittura due leggende: l’una riguardante il suo costruttore infatti si pensa l’abbia costruito Luigi Vanvitelli e l’altra riguardante la principessa che si dice assistesse alle celebrazioni sacre aprendo semplicemente il balcone del salone prospiciente la rotondeggiante ed eccentrica Chiesa di S. Nicola di Bari.
Questa è una Calabria: quella affascinante e misteriosa e questi alcuni dei suoi abitanti, cordiali e accoglienti, ma questa in fin dei conti è la mia visione personale di una terra amata e una terra odiata, che in alcuni momenti mi ha fatto anche desiderare di non tornare più, ma alla fine il richiamo della terra natia è sempre forte.
Posso concludere che Gioiosa è stata un’assoluta ri-scoperta, forse perché non sono mai stata attenta o forse perché alcune volte dimentichiamo di amare ciò che è nostro. L’effetto è assolutamente straordinario e mi sono molto stupita poiché, forse perché un po’ da turista e un po’ da esploratrice, è come se l’avessi guardata con altri occhi, cercando di scorgere il passato, la storia e le sue tradizioni in ciò che rimane nel presente e per scorgerle basta solo fermarsi un momento ed osservare con attenzione ciò che giornalmente viviamo.