La Riserva – editoriale di critica sportiva: Salernitana – Nocerina, il calcio come metafora di uno Stato inerme - Il grottesco pomeriggio consumato tra Mercato San Severino e Salerno ha poco a che fare con il calcio. Sbaglia chi pensa ad una sconfitta dello sport o a singoli calciatori che hanno violato i principi di lealtà sportiva. Il problema è più complesso.
Il sistema paese è gravemente malato e il pallone è solo uno dei tantissimi settori in cui lo Stato italiano è inefficiente. Dalle forze dell’ordine al mercato del lavoro, dall’industria alla lotta all’evasione fiscale, l’immagine che lo Stato fornisce di sé è spesso rappresentata da delinquenti che tutti i giorni calpestano i principi fondamentali del vivere civile, il tutto senza alcuna contrapposizione. Lo Stato perde una, dieci, mille battaglie in diretta televisiva, sotto gli occhi della società civile, che nello Stato ci crede e che non crede ai propri occhi.
Se ci guardiamo intorno, come detto, non possiamo fare a meno di notare che lo Stato mostra le sue enormi lacune in tantissimi aspetti della vita di tutti i giorni. Parliamo di lavoro, che se in Italia non rappresentasse un problema serio col cavolo che l’ultras sarebbe una “professione”. Dagli anni ’90 ad oggi sono state emanate decine e decine di leggi che regolamentano il mercato del lavoro, eppure abbiamo quattro milioni di disoccupati e quasi mille persone all’anno muoiono sul lavoro, o muoiono di lavoro, perché spesso non lo trovano e per la disperazione si ammazzano. Non è una divagazione, perché se si legge bene la questione è un po’ come parlare di calcio, un settore economico che negli ultimi anni è stato riformato con l’introduzione dei biglietti nominativi, della tessera del tifoso, dei tornelli e dei sistemi di videosorveglianza, pur restando inalterato il livello di violenza.
Ed ancora, vogliamo parlare di evasione fiscale? L’Italia è tra i primi paesi al mondo per capillarità delle leggi fiscali e per dotazioni tecniche e informatiche concesse agli ispettori del fisco. Eppure ha il più alto tasso d’evasione fiscale d’Europa. Una legge Finanziaria stanzia fondi per 50 miliardi all’anno, la stima sull’evasione fiscale è di quattro volte superiore a quella cifra. Perché? Per lo stesso identico motivo per cui, nel 2013 e dopo svariate riforme, i tifosi della Nocerina tengono in ostaggio i loro beniamini e li costringono a recitare una farsa, sospesa sul campo dopo venti minuti di una partita fantasma.
Il gioco funziona in questo modo. Da un lato ci sono i potenziali delinquenti: i datori di lavoro disonesti, gli ultras idioti e gli evasori fiscali. Dall’altro c’è lo Stato. A poco alla volta, i primi delinquono in maniera sempre più netta, evidente, efferata, spavalda, quasi vantandosi del loro essere delinquenti. Anzi, togliamo il quasi nel momento in cui assistiamo alle immagini dei nocerini che, appurata la sospensione della gara, scendono in piazza festanti, convinti di aver sconfitto il sistema. Volete che i poliziotti, i Questori, i membri dell’Osservatorio non sappiano quei loschi figuri chi siano, da dove vengano e perché si stanno producendo in questo spettacolo indecoroso? Ingenui. Quelli, se vogliono, li vanno a prendere fino a casa, perché in anni di osservazioni, monitoraggi, segnalazioni, fermi effettuati ed effetti personali raccolti, almeno qualcosina hanno imparato a conoscerla.
E così, come per i ladri e gli evasori spesso si sente dire per strada che “tanto denunciare non serve a niente”, i magnati del calcio nostrano fanno poco o nulla per essere educatori di masse, badando solo all’interesse di bottega. Prendete la reazione avuta dall’allenatore della Nocerina, Fontana, e dall’intera dirigenza capitanata da Gigi Pavarese: a margine di una farsa in campo e fuori, ampiamente annunciata, reagiscono con le dimissioni in massa, un clamoroso abbandono della nave in balia della tempesta. Queste sono le reazioni di chi non ha fiducia nelle istituzioni, e in mancanza di fiducia non le rispetta, proprio perché le istituzioni non mettono i cittadini in condizione di avere fiducia ed essere rispettate. Andiamocene e cancelliamo tutto, avranno pensato quei tesserati della Nocerina, se ci va bene l’anno prossimo qualcuno ci ingaggia.
Eppure basterebbe così poco per creare una generazione di futuri cittadini onesti e rispettosi delle leggi. Il problema, in definitiva, è di fondo. Si parla tanto di modello inglese, al quale si sarebbero ispirati (ma non è così!) Pisanu prima e Maroni poi nelle loro elucubrazioni che hanno generato i biglietti nominativi e la tessera del tifoso, riforme di difficile applicazione, molto costose per i conti pubblici e che, si è visto, non hanno minimamente posto freno al problema. Prova ne sia il fatto che, a Salerno, qualcuno ha deciso che i tifosi provenienti da Nocera non dovessero entrare allo stadio, benchè in possesso di biglietto e tessera. Ma in cosa consiste veramente il modello inglese?
A beneficio dei più giovani che non c’erano va detto che le tifoserie inglesi, a cavallo tra gli anni ’70 e ’80, erano i peggiori clienti che si potessero ospitare nelle competizioni europee. Violenti, ubriachi, irrispettosi delle regole, gli hooligans somigliavano paurosamente agli ultras italiani di oggi. Tanti sono stati i provvedimenti che il Governo di Sua Maestà ha adottato per fronteggiare il fenomeno, non sempre impeccabili a dire il vero. Ma il risultato finale è quello di stadi all’avanguardia nella sicurezza e nel comfort, possibilità per una città di ospitare diverse partite in una stessa giornata, diversamente da quanto accade in Italia (si pensi che Londra conta sette squadre di alto livello), ma soprattutto gente che si muove per andare allo stadio in modo ordinato.
Si può stare ore a discutere dei centri commerciali, dei musei e dell’entertainment che si sviluppa intorno alla Premier League, ma l’elemento che ha consentito al Governo britannico di risolvere il problema della violenza negli stadi ha un solo nome e cognome: stanziamento di fondi pubblici. Tanti soldi, in diverse tranches annuali, che sono serviti per la ristrutturazione e la manutenzione degli impianti sportivi, i quali, già che c’erano, sono stati in seguito ceduti alle società, anche a quelle delle serie inferiori. Cosa significa in concreto avere uno stadio di proprietà? Non solo maggiori introiti dovuti alle “attrazioni” e al fatto di non pagare l’affitto ed eventuali tasse per la concessione di un impianto pubblico. Avere uno stadio di proprietà significa, per il presidente di una squadra di calcio, essere investito di maggiori responsabilità.
Nello specifico, significa assumersi l’onere di fungere da aggregatore sociale, eliminando le barriere tra campo di gioco e spalti e quelle tra tifoserie avversarie. Significa collocare nello stadio telecamere a circuito chiuso e prendersi la briga di diffondere immagini “sospette” alle forze dell’ordine. Significa rendersi responsabile della gestione della sorveglianza all’interno degli impianti, con personale alle proprie dipendenze, liberando la Polizia da quest’incombenza. In Inghilterra, per esempio, esiste una vera e propria polizia sportiva privata, la National Football Intelligence Unit, addestrata per fronteggiare i facinorosi e pagata con gli introiti dei club (quindi allo Stato costa zero). Ecco che, in quel contesto, assumono tutt’altro valore gli atti di violenza, i cori razzisti e i comportamenti genericamente offensivi. Le pene esemplari, in Inghilterra, non solo sono accettate, ma addirittura sono invocate dalla collettività.
In Italia, nel 2013, stiamo ancora a discutere se sia giusto o no giocare un derby di serie C a porte aperte e nella città della squadra di casa. Qualcuno addirittura ha detto che Salernitana – Nocerina andava giocata a Bolzano. Nessuno ha capito, o forse non vuole capire, che chiudere uno stadio intero o giocare in campo neutro equivale ad ammettere la sconfitta. Per lo Stato, che le leggi le ha approvate e dovrebbe applicarle, significa autodichiararsi inerme, incapace di prendere provvedimenti seri contro persone che conosce bene e dalle quali viene sbeffeggiato ogni settimana da una curva. Il tutto mentre dietro ad un pallone corrono ventidue deficienti strapagati, di cui sei inscenano finte sostituzioni e altri cinque fingono di farsi male.
Paolo Esposito