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La Riviera Maya vista da Marco Cecchi

Da Darioanelli @dalmessico

La Riviera Maya vista da Marco Cecchi Oggi vi propongo un'intervista a Marco Cecchi, giovane milanese espatriato nella Riviera Maya e autore del blog
The Mexican Experience.
Ci darà il suo punto di vista sulla realtà degli espatriati italiani nel Quintana Roo e sulla sua avventura messicana.
Raccontaci di te...
Sono Marco, sono di Milano, nato nel gennaio del '74; ho studiato ragioneria come tutti quelli che non sapevano bene cosa fare e, a diaciannove anni, ho cominciato a viaggiare lavorando per i villaggi turistici, prima come animatore, poi come assistente residente per i clienti, (dopo quasi 14 anni di permanenze all'estero tra caraibi, medio oriente ed Europa) sono approdato prima al mondo dell'organizzazione di eventi e, alla fine, agli hotel che è poi il settore nel quale lavoro tutt'ora.
Ho deciso di trasferirmi in Mexico perché ci avevo già lavorato nel 2003: accompagnavo i tour in Yucatan, Chiapas e Guatemala per i Viaggi del Ventaglio. Adoravo il Paese, mi aveva completamente ammaliato. Alla fine dello scorso inverno, colto dal difficile momento che si sta vivendo in Italia, un po' perché non sentivo più alcun legame con il Lago di Garda, un po' perché il lavoro mi annoiava, ho deciso di partire. E, nel gennaio 2013, anche la mia compagna è saltata sul treno dei desideri.
Qual era la tua idea del Messico prima del tuo viaggio. E' cambiata la tua opinione?
Ci ho pensato a lungo; dopo dieci anni dalla prima esperienza, pensavo di aver amplificato il ricordo, creando il mio personale paese dei balocchi. Al momento della partenza, avevo una visione del Mexico che, a posteriori, non capivo più da dove venisse ne su quali basi si fondasse.
La mia considerazione è cambiata ma solo per quanto riguarda lo stato del Quintana; credo che il resto del paese sia essenzialmente uguale a quello che, tutt'oggi, abita nei miei ricordi.
Del Messico avevo un ricordo molto bello: gente sveglia, appassionata, con una forte indole di crescere per vie traverse, ovvero non seguendo i soliti canali convenzionali propri dell' Europa e, ancor di più, dell'Italia.
Gente particolare che fa le cose a modo proprio; un po' “tamarri”, un po' malinconici ma assolutamente geniali, con un forte senso della famiglia dell'amicizia come, all'epoca, mi avevano dimostrato tante persone che avevo conosciuto sul mio cammino di tour leader.
Perché hai scelto la Riviera Maya come base per il tuo soggiorno? Che tipo di lavoro hai trovato?
La Riviera è stata una tappa forzata per esigenze lavorative. Lavorando nel settore turistico ho scelto il luogo più ricco di strutture alberghiere e che avesse la stagione più lunga possibile.
Mi son detto: “Se devi tirare un colpo nel vuoto, almeno che ci siano tanti possibili bersagli intorno”. In effetti la vera idea era di trasferirsi in Baja California del Sur vuoi per i panorami più simili ai nostri ideali televisivi di Mexico, vuoi perché mi sembrava che ci fosse un turismo più sostenibile non attrattivo per i soliti “strafattoni di birra americani”.
Al momento della partenza sapevo solo quanto durava la stagione e quante strutture esistessero sul territorio: da ciò dipendevano le mie chance di trovare lavoro. La scelta della Riviera Maya (ahimè) si è imposta per semplice statistica. Avevo ragione, dopo poco meno di un mese ho trovato impiego in una struttura a quattro stelle molto bella come capo-reception prima, e successivamente come braccio destro della direzione dopo ma i problemi non sono stati quelli in definitiva.
Qual era la tua tipica giornata messicana?
Quando cercavo lavoro, mi alzavo verso le sette e, con la mia compagna, facevo colazione all'italiana: cereali, latte, tè, biscotti e pancake.
Iniziavamo poi la “vasca” a Playa con i nostri CV alla mano e la lista degli hotel.
Navigavamo a vista. Poi, esauriti gli hotel di Playa, siamo passati a quelli più distanti che raggiungevamo in auto. Abbiamo trovato lavoro ma, allo stesso tempo, chiarito che non ci saremmo fermati lì a vivere. Era fine di settembre, le giornate hanno preso un ritmo molto più vacanziero;
facevamo parecchio sport e spiaggia; più meno come tutti gli altri turisti.
Come vive la comunità italiana in Riviera Maya?
So che rispondendo a questa domanda e ad alcune altre, attirerò su di me l'astio di molti, ma preferisco essere molto schietto e sincero come lo sono sempre nella vita. La comunità italiana di Playa non mi ha colpito molto, ho conosciuto e visto una valanga di arraffoni-opportunisti che sperano di fare i soldi facili improvvisandosi mediatori immobiliari, ristoratori di grido da lounge-bar, affaristi, commercianti di second'ordine.
Ho poi incontrato rare perle di entusiasmo e volontà, come il ragazzo che cucina e serve in un buchetto sulla 30. Produceva pasta fatta a mano con la ricetta del nonno romano, poi faceva panzerotti, bomboloni e ciambelloni farciti di nutella.
E' arrivato qui con la moglie e i suoi quattro stracci (come li chiama lui): Ha preso in affitto questo posticino e lo ha creato dal nulla. Ha forse le idee un po' confuse sul budget per vivere lì ma, di certo, la voglia di fare non gli manca.
Oppure c'è Giuseppe, che dopo aver organizzato eventi importanti e convegni è tornato (con difficoltà, va detto) alla sua vecchia passione aprendo un diving riuscendo a mettere insieme yoga e apnea.
Moltissima gente in Riviera Maya vivacchia di espedienti e di illusioni; trucchetti da salotto molto anni '90, quando bastava dire:”ristorante, italiano, pizza” per fare un po' di grano. Pochi si fanno il mazzo esattamente come in Italia e mandano avanti la baracca nonostante le difficoltà e il momento non proprio idilliaco.
Come sono i messicani? Sei riuscito ad integrarti?
Ahimè, anche qui note dolenti: i messicani di Playa sembrano vivere in uno stato torpore mentale e fisico che non rende facile la conversazione e i rapporti interpersonali. Ho avuto a che fare con poche persone: commesse di supermercati, farmacie e negozi, commercianti e receptionist. La sensazione, quando interagiscono con te, è che non riescano veramente a capire cosa vuoi (premetto che parlo spagnolo da quasi 10 anni) e, quando lo hanno capito, non sanno assolutamente darti una risposta decente; ti guardano e poi svaniscono. Una volta in una grande farmacia:
Io: Buongiorno!
Lei: masticazione di cicca americana.
Io: salve, sto cercando la medicina xyz...
lei: silenzio.
Io: è un antibiotico a largo spettro che mi ha consigliato il medico qui a fianco
Lei: ah, mmmhhh (masticazione continua), non lo so, ma è una medicina?
Io: suppongo di si, me l'ha data il medico (se fossero stati pneumatici sarei dal gommista no?)
Lei: mmhh, no, non credo, ah,mmhhh.
Improvvisamente entra il ragazzetto delle consegne e lei, senza scomporsi, si mette a parlare con lui. Io la guardo intensamente e mi metto tra lei il ragazzo delle consegne. Lei mi rivolge uno sguardo stupito e mi fa: “No, non c'è, non so, ripassi”.
Questo è solo un esempio, il peggiore forse, ma la sensazione è sempre stata quella del “mah, non so, forse, boh”.
Ciò ha creato una barriera di scetticismo nei confronti di buona parte dei locali “dallo sguardo vacuo”. Mi sono fatto alcuni amici italiani e la mia compagna è riuscita a conoscere anche alcuni personaggi svegli, ma si trattava più che altro di marpioni da spiaggia alla ricerca della solita cosa.
Quali sono state le tue maggiori difficoltà in Messico?
La difficoltà maggiore, se così si può definire, è quella di uscire, agli occhi della gente, dallo status di turista che ti si appiccica addosso a causa della chiaramente riconoscibile “italianità”. I turisti sono visti come merce da spulciare e, quando si parla con la gente del posto, bisogna sempre sottolineare il fatto che si vive lì e non si è in vacanza come la maggior parte degli italiani. Per fare un esempio banale posso dire che il prezzo del taxi da casa mia alla spiaggia era di cinquanta pesos ma informando il tassista che lì ci vivevo il prezzo è sceso a trenta pesos che è considerato l'importo corretto per i locali.
Il Messico è un paese nel quale si può crescere professionalmente?
Mah, in Mexico in generale penso che si possa crescere professionalmente e l'esperienza lavorativa può diventare gratificante. A Playa credo sia più difficile perché il livello medio sia degli stipendi sia degli status professionali è percepito come più basso. Un vice direttore d'hotel guadagna mediamente (mi riferisco al mio caso ovviamente) sui 20.000 pesos (€1180), lo stesso ruolo nel Distretto Federale è ampiamente più retribuito.
Hai qualche consiglio da dare ad un giovane che si accinge ad espatriare nel sud del Messico?
Potrei suggerire di approdare a Playa per trovare un lavoro per i primi tempi ma dopo credo sia meglio spostarsi in altre zone dove il turismo sia marcatamente meno di massa o di livello meno basso. Potrei suggerire anche di non prendere il trasferimento in Mexico come unica esperienza possibile e di non puntare il tutto per tutto a meno che non si sia davvero convintissimi di quello che si fa. Personalmente ero fortemente motivato a trasferirmi e a restare ma ho notato che le condizioni non erano molto favorevoli.
Puoi fare un bilancio della tua esperienza messicana?
La mia Mexican Experience è stata, tutto sommato, fortemente positiva. Era un tentativo che volevo fare prima dei fatidici quarant'anni momento in cui, penso, bisogna trovare una strada definitiva e lasciare da parte i tentativi ed i colpi di testa. Adesso che sono seduto nel mio salotto di Monza in cerca di lavoro e un nuovo inizio all'orizzonte, penso di aver fatto bene a togliermi lo “sfizio e il dubbio”. Devo ammettere che della delusione mi è rimasta: credevo di riuscire a costruire qualcosa in un luogo che ho tanto amato ma, non sempre si vince e non sempre si riesce nel proprio intento. Sicuramente tornerò in Messico da turista consapevole e, ancor più sicuramente, eviterò Playa del Carmen per cercare un posto che sia davvero messicano.
Non penso che, in questo momento particolare, ci siano molte persone che possano permettersi il lusso di fare quello che ho fatto in questi mesi e, quindi, mi ritengo veramente fortunato anche per il fatto di aver avuto vicino una persona che ha assecondato la mia pazzia e, addirittura, ne è stata entusiasta nonostante le possibilità di successo non fossero molte.
Il consiglio che mi sento di dare a chi sta pensando di lasciare l'Italia è di non farlo cavalcando il sentimento dell'odio o dell'insofferenza ma, piuttosto, per amore di un altro paese che è profondamente e singolarmente diverso dal nostro.
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