Una rivoluzione in quattro parole: "Ti mando un'e-mail". E' la rivoluzione della chiocciola.
Dagli armi Novanta c'é stata una grande enfasi attorno a Internet, che è senz'altro una cosa bella e grande, ma che é anche provvista di un'identità un po' troppo smargiassa. Un cospicuo apparato formale, tenuto in piedi da nuove figure professionali, come quella dei "web designer", dai ritmi di lavoro e dalle condizioni di vita a volte disperanti: ma anche un'immane labirinto fatto di scatole vuote, dette sintomaticamente "siti", che ingenerano l'ansia di essere riempite. E' per questo horror vacui che la frase simbolo di Internet é "trovare i contenuti". Il sito è sul piano di Internet ciò che l'"evento" é sul piano del mondo reale: un'organizzazione del vuoto che reclama qualcosa che voglia rimbombarci dentro. E così Internet si pone perlopiù come un esperimento di vetrinismo planetario.
Il vero evento della rivoluzione è però la posta elettronica, che anche nella sua relativa inappariscenza conferma il suo carattere discreto. Internet è Ollio, l'e-mail é Stanlio.
Fin da pochi anni dopo la sua nascita la posta elettronica ha cominciato a manifestare le sue proprie malattie e disfunzioni: i mali esentematici dello spam e dei virus, le maggiori velocità e intrusività conferite alla stupidità e alla malignità umane. Se uno ha un indirizzo e-mail pubblico la percentuale di messaggi appropriati e opportuni che riceve scende ogni momento di qualche frazione di punto. Oggi come oggi l'esperienza personale fissa tale percentuale al quindici per cento, e il resto è spazzatura o inezia: quell'ammontare di materia inerte, ma potenzialmente pericolosa e attualmente fastidiosa che il gergo milanese chiama efficacemente "fuffa". Contro la fuffa occorre dotarsi di santa pazienza e di un buon filtro anti-spam, che però ogni tanto si mangerà misteriosamente messaggi personali importantissimi.
Ma aldilà delle patologie resta il fatto che per utilità e diffusione la posta elettronica è la maggiore invenzione umana del nostro tempo. Sarebbe stucchevole ancor più che futile elencare un'altra volta i suoi vantaggi: la possibilità di contatti internazionali comodi, frequenti e gratuiti, la maggiore circolazione di idee che ne deriva, il brusco ridimensionamento della necessità di usare il petulante telefono e il farraginoso fax e in generale la certezza di poter entrare in contatto pressoché con chiunque senza rompergli le delicate palle. La discrezione, appunto.
La rivoluzione vera e propria riguarda la scrittura. A scuola fanno scrivere parecchio, e in un modo o nell'altro si finisce per imparare a tenere la penna in mano. Per scrivere cosa? Il tema, il penso, la tesina molto spesso restano al livello dell'esercizio: ci si rivolge a un professore che è supposto sapere (da prima e meglio) quel che leggerà e non è semplice convincere gli studenti che in realtà si stanno rivolgendo a un pubblico virtuale, e che il professore non è il destinatario ma l'osservatore di questa comunicazione. Chi impara a scrivere dovrebbe sentirsi come un attore che si rivolge a una platea buia, potenzialmente gremita o totalmente deserta: non è una buona scusa per rivolgersi esclusivamente al regista. Ma di fatto viene sempre istintivo rivolgersi a un destinatario preciso, noto o meno noto che sia.
Che si fosse imparato a organizzare un testo o no, con destinatario personale o impersonale, fuori dalla scuola la scrittura diventava un oggetto misterioso. Prima dell'e-mail le occasioni non scolastiche di praticarla non erano poi frequenti, salvo per chi scriveva per mestiere: ed era un gran peccato, perché chiunque ha un contatto via e-mail con un pubblico vasto oggi sa che esiste un mucchio di gente che ama scrivere e lo fa bene. Gente che prima aveva di rado il tempo e la voglia di prende carta, penna, busta, francobolli, e che ora ha trovato il mezzo giusto per dedicare il giusto tempo ai piaceri sociali donati dall'alfabeto (e dall'alfabetizzazione), con l'agio di rivolgersi a uno o più destinatari scelti.
Occorrerebbe studiare bene la differenza fra il tipo di scritture che si trovano nei forum (altro nome che ricorda il vuoto) pubblici di Internet e quelle che invece viaggiano via e-mail. L'intervento pubblico scatena una folcloristica gamma espressiva che è l'analogo (per iscritto) delle forme di comunicazione da assemblea di condominio: sarcasmo, insolenza, iattanza, sconforto veicolati con spreco di maiuscole ed esclamativi, destrutturazione sintattica, tendenza epidemica all'interiezione. L'e-mail invece invita (mediamente) al carattere minuscolo, a una strutturazione più articolata della comunicazione, a un'interlocuzione nel complesso migliore.
L'e-mail ha cambiato molte cose: soprattutto ha dato una possibilità inedita di rapporto fra i mass-media e i loro utenti, trasformando radicalmente l'interazione del pubblico con giornali, radio e televisione. Ha inoltre messo in contatto persone abituate a lavorare singolarmente e a scornarsi con problemi che messi in rete vengono risolti facilmente. La richiesta di un aiuto a un amico, può innescare una reazione a catena che a volte si conclude in capo a poche ore con una risposta dal maggior esperto mondiale del problema (è una felice esperienza personale).
A fronte di queste festose opportunità c'è naturalmente il cumulo spaventoso di e-mail a cui rispondere: non ce la si fa e i mittenti giustamente si offendono. L'e-mail, così umile e discreta, sotto sotto pensa di noi che parallelamente alle nostre ventiquattro ore nel mondo reale - in cui dormiamo, leggiamo, lavoriamo, andiamo a trovare i nostri parenti, facciamo da mangiare, accompagniamo i figli a scuola - ci sono altre ventiquattro ore che viviamo come titolari di uno o più account di posta elettronica. La chiocciola, malgrado le inoffensive apparenze, ha su di noi delle ambizioni tiranniche. Il nostro problema è riuscire a saltare tempestivamente da un piano parallelo all'altro, dalle ventiquattro ore in cui siamo mariti, mogli, figli, amanti, padri, madri a quelle in cui siamo lavoratori, a quelle in cui siamo cittadini, automobilisti, contribuenti fiscali, a quelle in cui appunto siamo titolari di una casella postale elettronica. Ognuna delle cose che facciamo è una attività a tempo pieno, e comprimendo tutti questi tempi dentro alle ventiquattro ore del tempo reale si ottiene quel patchwork che è la risultante delle nostre identità multiple. Picasso aveva ragione!
Di questa condizione umana, fibrillata ed estenuante, l'e-mail costituisce simultaneamente il mezzo espressivo più adeguato e l'immagine più fedele. Come unità (nel micro) è veloce, impegnativa e assieme sbrigativa; come fenomeno generale (nel macro) dà una rappresentazione della contemporaneità.
Che ci dica "Enlarge your penis", che ci mostri la fotografia di un neonato figlio di amici, che ci voglia preoccupare per le sorti del pianeta o per quelle di una piccina affetta da rarissima malattia, che ci mandi a quel paese, che ci annunci un'offerta commerciale, che ci inviti a una festa che ci metta in ansia o ci dia una buona notizia, che ci giri l'ultima barzelletta o l'ultimo stupidario, che ci faccia rientrare in contatto con una persona persa di vista da decenni, che ci ammannisca le insistenze di un seccatore, che ci faccia arrivare una valanga di lavoro, che ci parli d'amore o d'umore, checché ce ne dica la posta elettronica ci offre quotidianamente quella parte dell'entropia del mondo che è a ognuno di noi singolarmente dedicata. E ce la offre nel formato con cui possiamo servircene, archiviarla o disfarcene più facilmente, e a costo zero.
La rivoluzione della posta elettronica in una infografica
Creato il 25 settembre 2012 da Hugor @msdiaz61Possono interessarti anche questi articoli :
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