Splendido niente di un uomo che cammina
G. Grignani
Alice si chiedeva che diavolo stesse facendo quel ragazzo lì nel cortile. Girava in tondo e probabilmente pensava. Lo aveva visto poche volte, malgrado abitassero nello stesso condominio, e in quelle rare occasioni c’era sempre stato del formale imbarazzo tra loro, quasi che ad entrambi non interessasse salutare l’altro, tuttavia ogni tanto ricordavano di farlo, in onore delle formalità.
A un certo punto stava prendendo a calci qualcosa, forse un sasso. Poi Alice si concentrò meglio e capì che quello doveva essere un bocciolo di rosa. Il cortile in quella stagione ne era pieno considerato il roseto poco distante.
Prendeva a calci il bocciolo, quello si spostava, lui lo raggiungeva, tirava un altro calcio con la punta della scarpa. Mano a mano che il bocciolo era preso a calci si andava rompendo, perdendo ora una fogliolina verde, ora un petalo.
Alice scosse la testa. “Perché doveva essere così pensieroso?” Guardò un libro di poesie poggiato sul letto e si ricordò di alcuni versi.
“Osate calpestare le aiuole”- aveva declamato il poeta. Così decise di scendere in cortile.
Abitava al primo piano, quindi le occorse soltanto un minuto per trovarsi giù, arrivò appena in tempo per guardare il ragazzo mettere fine a quel gioco bizzarro. Dopo un ultimo calcio, lui raggiunse il bocciolo e lo calpestò, insistendo con la pianta del piede, quasi come se dovesse schiacciare un qualcosa di ben solido e quindi gli occorresse molta forza. Alice credette di intuire sul volto del ragazzo che guardava in terra un’espressione rancorosa.
“Perché lo fai?”
Lui si voltò, evidentemente sorpreso dalla presenza di Alice che non aveva notato.
“Faccio cosa?” – replicò con aria interrogativa, quasi colto sul fatto, con l’espressione innocente di chi sostiene “Non sono stato io, non so di cosa stai parlando”
“Perché schiacci la rosa?”
Il ragazzo sospirò, guardò il bocciolo, del quale non era rimasto che un piatto groviglio di petali e una macchia umidiccia intorno, poi disse:
“Non dovrei?”
“Le rose sono belle, non dovrebbero essere schiacciate.”
“E chi l’ha detto?”
Alice fece spallucce, allargò le braccia e alzò gli occhi al cielo.
“La natura.”
“La natura? Dovresti sapere invece che la natura è crudele, forse bella sì, ma crudele e pericolosa. Le rose potrebbero schiacciare te.”
Alice andò a sedersi su una panchina.
“Non ti facevo filosofo.”
Lui le si sedette accanto.
“Non ti facevo impicciona.”
Alice si alzò e affrettò il passo verso il portone, sbuffando. Lui la rincorse.
“Scusami…scusami, non intendevo offenderti. Non sto tanto della quale oggi!”
Lei si voltò.
“Tu schiacci rose, ecco cosa fai.” , poi riprese il passo.
Lui la bloccò trattenendola per un braccio.
“Io non schiaccio rose, mi difendo. Mi difendo prima che loro schiaccino me.”
“E io non intendevo schiacciarti. Volevo essere d’aiuto!” – Alice aveva alzato la voce.
“Vuoi essere d’aiuto? Allora diamo fuoco al roseto. Diamo fuoco a tutte le rose. Ecco come puoi essermi d’aiuto.” – anche il ragazzo aveva alzato la voce.
Poi si fece silenzio nel cortile. Lui aveva lasciato il suo braccio, entrambi guardavano in terra.
“Forse non dovresti dare fuoco al roseto. Forse lì in mezzo c’è una rosa buona!” – mormorò Alice a voce bassa.
“Forse…”
“Se vuoi ti aiuto a cercarla.”
“Come si fa a riconoscere la rosa buona da quella non buona?”
“Bè, anche la rosa buona ti farà male…ma ti sarà impossibile schiacciarla.”
Il ragazzo annuì. Alice gli tese la mano:
“Io comunque mi chiamo Alice.”
“Mario. – disse lui rispondendo alla stretta – Mi insegnerai?”
Alice sorrise e rispose:
“Sì.”