La rosolia non è ancora sconfitta. Il virus gira ancora tra la popolazione e può causare ancora la sindrome della rosolia congenita.
Secondo un rapporto del Centro di epidemiologia e sorveglianza dell’Istituto superiore di sanità (Iss), tra il 2005 e 2012, nel nostro Paese sono stati 97 i casi confermati di rosolia in gravidanza e 61 quelli di sindrome di rosolia congenita, con un’incidenza pari, rispettivamente, a 5 e 3 per 100mila nuovi nati.
L’infezione del virus responsabile della rosolia può trasmettersi al feto durante la fase viremica per via trasplacentare e può portare a morte intrauterina, aborto o, appunto, alla sindrome della rosolia congenita, malattia che provoca gravi difetti congeniti nel nascituro, come ritardo mentale, difetti dell’udito, difetti oculari e cardiaci.
Il rapporto mostra che la sindrome della rosolia congenita, negli ultimi cinque anni, in Italia è addirittura in crescita.
Eppure, l’Organizzazione mondiale della sanità si è posta l’obiettivo di arrivare alla sua eliminazione entro il 2015.
Come si può ottenere questo risultato?
L’Iss spiega che bisogna migliorare le coperture vaccinali per il vaccino morbillo-parotite-rosolia nei bambini e adottare strategie mirate all’identificazione e immunizzazione delle donne in età fertile ancora suscettibili, incluse quelle ad alto rischio professionale e le immigrate, prima di una eventuale gravidanza, attraverso la chiamata attiva.
Le donne straniere appaiono infatti come una fascia a rischio: dall’indagine emerge che l’età media dei casi di rosolia nelle donne in gravidanza in Italia, tra il 2005 e 2012, è stata di 27 anni e il 20% si è verificato in donne immigrate. Lo screening degli anticorpi prima della gravidanza è ancora poco effettuato: solo dal 28% delle donne. Secondo gli esperti dell’Istituto superiore di sanità, bisognerebbe anche verificare lo stato immunitario verso la rosolia di tutte le donne ricoverate per parto o interruzione di gravidanza, vaccinare quelle suscettibili alla malattia nel post-partum e dopo un’interruzione di gravidanza e migliorare la sorveglianza con la collaborazione di medici di famiglia, pediatri, ginecologi e ostetriche.