di Adriano Scianca
Quel pizzetto un qualcosa di sciamanico ce l’ha sempre avuto. E, se ci fossero dubbi, basta informarsi sui nomi dei suoi figli: Geronimo, Lorenzo Cochis e Leonardo Apache. Sì, Ignazio La Russa sembra proprio cresciuto sognando di essere un Sioux all’assalto della carovana. All’epoca, negli anni ‘70, i cowboy erano i “buoni” della storia, quelli usciti vincitori dal secondo conflitto mondiale e che facevano dell’antifascismo militante un’arma per rinchiudere nelle riserve del ghetto chi non la pensava come loro. Da quell’epoca sono passati tanti anni, ma l’ex ministro della Difesa non ha smesso di ammirare i nobili guerrieri delle praterie. Ne parlò persino con i capi Apache in persona, quella volta che li ricevette alla Camera…
Allora, La Russa, quanto era forte e che significato aveva il riferimento pellerossa per voi ragazzi di destra di qualche decennio fa?
Era forte, era uno dei nostri modi di essere controcorrente. Si trattava di una fascinazione che aveva solide basi, peraltro.
Sentiamo…
Be’, c’era un richiamo a un certo antimodernismo, alla tradizione, forse in termini anche un po’ idealizzati, se poi si va a studiare la vera storia di quei popoli. C’era poi un certo antiamericanismo…
Alt. Antiamericanismo? Ma il Msi non era esplicitamente occidentalista?
Fra noi ragazzi aleggiava un diffuso sentimento culturale antiamericano. Poi c’era la realpolitik, che noi, pur giovani, conoscevamo bene e infatti nelle grandi divisioni della guerra fredda facevamo le nostre scelte ben precise. Diciamo che eravamo antiamericani in senso culturale e filoamericani in senso politico. Ma questo non valeva solo per me, penso a Fini, a Gasparri…
Magari non era il caso di Alemanno…
Infatti non l’ho citato.
Torniamo ai pellerossa…
Ecco, stavo dicendo: nella fascinazione per gli indiani d’America c’era l’autocompiacimento di essere controcorrente. Pensiamo solo ai film. Oggi Hollywood sforna pellicole filo-indiane, ma un tempo tutto questo non c’era, si vedevano solo dei selvaggi che giravano minacciosi attorno alle carovane e che più ne abbattevi e meglio era. Non c’era profondità, non c’era analisi, non si diceva nulla delle loro ragioni. Ecco, noi tifavamo per loro per questo, perché ci piacevano le cause perse: pellerossa contro cowboy, troiani contro greci, soldati dell’Asse contro gli americani…
Il culto della sconfitta non rischia di essere politicamente paralizzante?
Ma no, noi, come ho detto, ci autocompiacevamo del nostro essere in minoranza in un momento in cui non avevamo realistici orizzonti di vittoria. Ci piaceva l’idea del combattimento al di là della speranza di vincere, credevamo che un’idea non valesse nulla se non si era disposti a combattere per essa anche sapendo di andare incontro alla sconfitta. Ma questo non vuol dire che noi non contassimo prima o poi di vincere, sapevamo che alla fine la forza delle nostre idee si sarebbe imposta. Anzi, devo dire che questo è poi accaduto prima di quanto pensassimo.
In quegli anni a Milano c’era anche una rivista dei giovani di destra chiamata “Cheyenne”. Era roba sua?
No, non era roba mia, però ricordo che andasse piuttosto bene.
Nel resto del Msi c’era chi si schierava con Custer contro voi filo-indiani?
No, perché non era un riferimento talmente potente da generare divisioni. Ma, paradossalmente, potevi finire a fare a botte perché uno era evoliano e l’altro gentiliano. Erano strani anni, quelli…
E nell’Ignazio La Russa di oggi cosa è rimasto di quelle fascinazioni?
Intanto il nome dei miei figli. Nel caso di Geronimo, peraltro, ci fu lo zampino della madre, che era una vera appassionata della storia degli indiani.
Una scelta bizzarra…
Ma che mi fece fare un figurone con gli Apache.
Racconti pure, sembra divertente.
Accadde quando ero vicepresidente della Camera e ricevemmo una delegazione di capi Apache su iniziativa dell’estrema sinistra. Furono tutti sorpresi quando cominciai a sciorinare la storia del loro popolo e raccontai dei nomi dei miei figli. Ricordo che i capi tornarono entusiasti dal loro gruppo, dicendo: “Che tipo che è questo La Russa!”.
E nel La Russa politico cosa rimane di quelle ispirazioni?
La tenacia della lotta politica a prescindere dalle possibilità di vittoria. Oggi è merce rara, sono tutti presi dai sondaggi, si deve sempre sapere prima se una data proposta è popolare o avrà successo. Anch’io ci bado, per carità. Sono dati importanti, ma la politica non dovrebbe farsi condizionare troppo da queste cose.
Da il Secolo d’Italia, 20/5/2012