L’ultimo vertice dei Paesi APEC, tenutosi nella città russa di Vladivostok nella prima metà di settembre, è stato foriero di interessanti novità dal punto vista economico e geopolitico, soprattutto in relazione alle possibilità di cooperazione della Russia con i Paesi dell’Estremo Oriente. Nel seguente articolo cercheremo di individuare i punti salienti discussi al summit, esponendo i progetti che vedono la Russia come principale attore nell’ambito del commercio internazionale, dei settori industriale ed energetico.
Il summit dei Paesi APEC, tenutosi dal 2 al 9 settembre 2012, non è iniziato propriamente sotto i migliori auspici, né dal punto di vista strettamente organizzativo né sotto il profilo delle relazioni bilaterali tra alcuni dei soggetti coinvolti. Non molto prima dell’inizio dei lavori, infatti, tra gli attori protagonisti dell’incontro sono risorte tensioni legate a dispute territoriali dalle radici storiche più o meno profonde, in grado di gettare un’ombra alquanto cupa su di un incontro che al contrario avrebbe dovuto rappresentare un’occasione di dialogo pacifico. A far subito parlare di sé è stata, poco meno di due mesi prima dell’evento, la visita di Dmitrij Medvedev alle Isole Curili, parte dell’arcipelago sotto il controllo di Mosca tuttora contesa tra Russia e Giappone a causa di una controversia dalla durata secolare1. In quest’occasione, il Primo Ministro ha tenuto a ribadire quanto detto già durante la sua prima visita del 2010, ossia che le isole sono chiaramente parte del “territorio russo”2. La conseguente reazione indignata del governo di Tokyo non si è fatta attendere, con il Ministro degli Esteri Gemba spintosi ad affermare che “la dichiarazione di Medvedev è ‘acqua gelata’ sulle relazioni russo-giapponesi”. Questa lieve imprudenza diplomatica russa non è stata però la sola a fare da anticamera ai lavori del vertice: ad essa si sono aggiunte infatti le esercitazioni militari dell’esercito taiwanese sull’isola di Taiping, al centro di una contesa che vede interessata non solo la Repubblica Popolare Cinese, ma anche il Vietnam e le Filippine.
Inoltre, l’intera organizzazione logistica del summit sembrava inizialmente tutt’altro che efficiente: già dal 2010 il budget per l’organizzazione dell’evento era stato tagliato (un contenimento delle spese che Mosca ha motivato con la pessima congiuntura internazionale) e a poche settimane dal vertice molte delle infrastrutture necessarie risultavano ancora in una fase di completamento non eccessivamente avanzata.
Nonostante tali poco confortevoli premesse, gli organizzatori sono riusciti a sorprendere gli ospiti presentando loro una Vladivostok rinnovata e infrastrutturalmente funzionale, a fronte di un quadro diplomatico rivelatosi promettente proprio tra quei Paesi che sino a poco prima avevano manifestato disaccordi reciproci. La Russia non si è limitata a fare gli “onori di casa”, ma si è posta all’avanguardia nella promozione dell’integrazione regionale, divenendo di fatto il Paese-perno dei colloqui tenutisi durante l’evento. Il Presidente Vladimir Putin ha partecipato personalmente alla definizione dei punti salienti del documento finale dei Capi di Stato pubblicato alla fine dell’incontro. Tale documento3 – aperto dal motto “integrare per crescere, innovare e prosperare” – ha sancito l’impegno dei Paesi APEC a perseguire lo sviluppo sostenibile attraverso una maggiore integrazione delle economie degli Stati membri, da realizzarsi tramite l’abbattimento delle barriere tariffarie, il miglioramento dell’efficienza energetica e della ricerca di nuove soluzioni ecologiche (accanto comunque ad un maggiore impiego del gas naturale), l’incremento dello scambio di know-how e infine la cooperazione nella lotta alla corruzione e alla criminalità. Quello della sicurezza alimentare è stato uno degli altri temi importanti della convention, evidenziato dal Presidente russo come una grande problematica da affrontare e risolvere sia in ambito APEC che mondiale.
È importante sottolineare che le discussioni non si sono limitate a dichiarazioni d’intenti e impegni informali, ma hanno condotto a obblighi concreti. In primo luogo, la Russia ha garantito che non applicherà restrizioni all’esportazione di grano e prodotti agricoli (in controtendenza, dunque, a quanto fatto nel 2010), recuperando così affidabilità internazionale in questo settore merceologico. È stato inoltre dichiarato l’impegno a ridurre imposte e dazi su beni legati a 54 diversi tipi di prodotti realizzati con tecnologie eco-compatibili e impiegati nella produzione di energia pulita: in questo modo, entro il 2015 il tetto massimo per le imposizioni doganali su beni legati allo sfruttamento di energie alternativa non potrà superare il 5%. Oltre ai documenti multilaterali, va segnalato che durante il summit la Russia è stata in grado di promuovere e firmare numerosi accordi bilaterali di rilievo, tra i quali spicca quello per la costruzione di un impianto Mazda sul proprio territorio – il primo al di fuori del suolo giapponese. Seguendo una logica di bilanciamento dei rapporti economici tra Est e Ovest, Mosca ha inoltre deciso di sfruttare le potenzialità del mercato agricolo orientale: la Russia intende infatti entrare con forza nel mercato asiatico dei cereali, ampliando la propria produzione a fini di esportazione per soddisfare i “voraci” partners APEC – importatori del 37-38% di prodotto mondiale di questo tipo di beni – nonostante l’ancora persistente debolezza delle infrastrutture necessarie. A tal fine, il governo ha già deciso di stanziare fondi per il potenziamento di porti e ferrovie, mentre il gruppo industriale Summa (ritenuto vicino al Cremlino) si è già attivato nel rilevamento della storica Far East Shipping Company come prima tappa di un piano di sviluppo e riqualificazione nel settore trasporti.
La cornice del vertice APEC ha consentito alla Russia di proporsi non solo come valido partner commerciale per ciascuno dei vicini asiatici, ma come vero e proprio Paese di collegamento tra l’Asia e l’Europa, capace di offrire le proprie infrastrutture per facilitare i collegamenti tra i due estremi del continente e trarne profitti indiretti. Considerato il crescente livello di scambi commerciali tra i Paesi APEC e quelli europei (stimato oltre il migliaio di miliardi di dollari), lo sfruttamento delle infrastrutture russe potrebbe portare non meno di un miliardo di dollari nelle casse del Cremlino, secondo il Presidente del CdA di Summa Zijaudin Magumedov. Visto comunque il deficit attuale di reti stradali e ferroviarie adeguate anche verso Occidente (reti che attualmente “muovono” poco più dell’1% del traffico esistente), saranno altresì necessari in questo frangente forti investimenti, da effettuare anche, come ci si è augurato, con capitali privati stranieri accanto a quelli di Stato.
Oltre alle proposte e agli intenti emersi in ambito strettamente commerciale, anche sul versante energetico vi sono state importanti novità. La Russia è ormai giunta al completamento degli oleodotti diretti verso la Cina e punta ad espandere ulteriormente questo tipo di infrastrutture, in un’ottica di diversificazione dei consumatori energetici, fino ad ora prevalentemente europei. In questo senso occorre menzionare l’accordo per l’esportazione di gas raggiunto da Russia e Giappone. Mosca e Tokyo hanno siglato un accordo per la costruzione di un impianto per lo sfruttamento e il trasporto di gas naturale proprio alle porte di Vladivostok, dal costo stimato di 13 miliardi di dollari e dall’entrata in vigore prevista per il 2017; l’intesa è stata sottoscritta dal numero uno di Gazprom Aleksej Miller e dal rappresentante del governo giapponese Ichiro Takahara. In linea generale, le prospettive per la cooperazione energetica dei due Paesi possono dirsi in crescita: il Giappone, conseguentemente alla progressiva chiusura dei propri impianti per la produzione di energia nucleare, sposterà la sua domanda verso il gas naturale russo.
A margine ricordiamo che, malgrado i mai troppo cordiali rapporti con gli USA, Mosca e Washington durante il vertice hanno firmato un memorandum d’intesa per la cooperazione in Antartide. Il Ministro degli Esteri russo Lavrov e il Segretario di Stato Hillary Clinton hanno redatto un nuovo testo basato sui vecchi accordi del 1959, impegnandosi ad attuare l’esplorazione, l’organizzazione e la realizzazione di progetti congiunti, lo scambio di dati e la gestione di azioni di salvataggio dell’area in questione. Sulla base di quanto menzionato sinora è opportuno concludere con alcune riflessioni.
In primo luogo, è molto interessante osservare come la Russia, dopo l’ingresso nel WTO, continui a perseguire un modello economico fortemente aperto verso l’esterno e all’integrazione economica con i Paesi che la circondano, tanto a Oriente che a Occidente. Mosca ha apertamente manifestato l’intenzione di potenziare i rapporti con i principali partner asiatici in molti settori industriali, senza però trascurare l’importanza dei Paesi europei. Sulla spinta dell’entrata nella WTO, la Russia è riuscita a porsi come partner commerciale favorevole e aperto a qualsiasi stimolo – inteso come investimento diretto sia greenfield che brownfield – proveniente dall’estero: un segnale di rilievo che lascia presagire un impegno concreto per il miglioramento sia dell’assetto complessivo della propria economia che delle infrastrutture materiali necessarie allo sviluppo. Rilevante è l’apprezzamento manifestamente espresso da grosse società di investimento, analisi e consulenza nei confronti del vertice e delle decisioni prese durante il suo svolgimento: la PwC (partner dell’evento) si è definita positivamente stupita sia per le capacità logistiche raggiunte dall’area di Vladivostok che dagli accordi firmati e dalle dichiarazioni di intenti pubblicate durante il summit. I suoi dirigenti hanno riferito che lo sviluppo dell’area di Vladivostok renderà possibile convincere i dirigenti di imprese e banche d’affari che “investire nelle regioni russe assicura investimenti a lungo termine”4. È altrettanto importante rimarcare l’ancora forte ruolo del governo russo nella gestione dell’economia: un interventismo che sembra fungere da motore per il rilancio dello sviluppo economico di determinati rami produttivi ed aree geografiche. Tenuto conto, d’altronde, il forte interesse suscitato presso investitori e operatori privati, non si può negare l’effetto positivo di una simile azione. In tale frangente le critiche statunitensi – avanzate da Hillary Clinton proprio a ridosso del vertice – sembrano più che altro cadere come un ammonimento ideologico verso un sistema misto il cui (ri)fiorire di certo non fa piacere a Washington, timorosa di vedere affievolita sia nel breve che nel lungo periodo la propria egemonia nel Pacifico. Restando in tema di Stati Uniti, non bisogna dimenticare il significato della convergenza sulla questione dell’Antartide, area da sempre al centro di negoziati: una convergenza che probabilmente funge da preludio a ulteriori temi di più importante discussione sia in ambito economico-politico (la rimozione dei residui della Jackson-Vanick e la questione Magnitskij) che geostrategico (i negoziati sull’installazione militare di Ul’janovsk e il problema del ritiro USA dall’Afghanistan). In ogni caso, la vicinanza delle elezioni negli Stati Uniti di certo rallenterà le decisioni della Casa Bianca su queste tematiche, che tuttavia meriteranno di certo in futuro ponderate analisi di merito.
Degna di nota l’apertura economica nei confronti del Giappone, con il quale si profila una ricca e proficua cooperazione negli anni a venire. Oltre agli accordi relativi al comparto industriale, sono soprattutto le intese in ambito energetico ad aprire le prospettive migliori. Con la progressiva riduzione del nucleare, come detto, il Giappone si apre a una partnership quasi “obbligatoria” con la Russia – geograficamente e logisticamente la controparte migliore da cui importare – ponendosi come robusto “cliente asiatico” di Mosca e beneficiando del primato energetico russo da cui già attinge l’Europa occidentale. Sarà interessante vedere, in questo senso, come progrediranno i rapporti con la Cina in ambito energetico. La domanda crescente di energia da parte di Pechino apre di sicuro un ulteriore scenario interessante, per quanto “oltre muraglia” ci si stia attivando già da tempo per strutturare condotte di approvvigionamento alternative direttamente sotto il controllo di capitali cinesi.
Si può dunque ritenere che il vertice APEC di Vladivostok sia stato un’ottima vetrina per Mosca, che si è presentata nel ruolo di potenza continentale non più solo emergente ma ormai consolidata, in grado di assumere più attivamente una funzione chiave anche in Estremo Oriente. Il miglioramento dei rapporti con la Cina e con il Giappone, l’ammorbidimento accorto nei confronti degli Stati Uniti, costituiscono mosse utili a rafforzare la posizione della Russia come partner affidabile, capace di trattare in maniera diplomatica e paritaria con tutti gli attori dell’area e di proporsi almeno sulla carta come asse di collegamento per intensificare i rapporti con l’Europa Occidentale. Il vertice ha insomma mostrato la forza di volontà di Mosca di proporsi come alternativa alle partnership trans-pacifiche favorevoli a senso unico agli Stati Uniti e ponendosi come punto d’appoggio dello sviluppo regionale asiatico: la forza, l’oculatezza e l’efficacia del ruolo congiunto di Stato e classe imprenditoriale ne determineranno il successo. In ogni caso, le basi gettate durante il vertice APEC sembrano sufficientemente solide per far sì che ciò accada.