Paradossalmente, proprio Medvedev potrebbe essere la prima vittima della crisi da lui stesso paventata: dopo una giornata come questa c’è da attendersi di tutto, anche Putin batta un colpo, sostituendo Medvedev alla guida del governo. Ma se ciò dovesse avvenire, chi prenderebbe il suo posto?
In questa delicatissima fase, a Putin e alla Russia serve qualcuno che abbia l’esperienza necessaria a dar vita ad una stagione di riforme, e che goda al contempo della fiducia dello Zar Vladimir, dei mercati e degli investitori esteri in fuga: un identikit che corrisponde all’ex ministro delle Finanze Aleksej Kudrin. Potrebbe essere proprio lui l’asso che Putin potrebbe calare prima che la situazione degeneri. Sebbene sia schierato all’opposizione e nonostante non lesini critiche verso il presidente russo, Kudrin gode ancora di ampia stima da parte di quest’ultimo, verso cui a sua volta si sente politicamente vicino ma dal quale ha sempre ostentato indipendenza nelle decisioni.
Il sodalizio tra i due è di vecchia data. Alla guida del Ministero delle Finanze tra il 2000 e il 2011, Kudrin si era visto affidare da Putin l’arduo compito di risanare le casse russe, disastrate prima dai salassi messi in atto da Eltsin e i suoi oligarchi e successivamente dal default del rublo del 1998: obiettivo che Kudrin aveva raggiunto grazie ad una rigida ma efficacissima politica monetaria deflattiva e a un attento controllo della spesa pubblica. Proprio questo era stata il pomo della discordia che nel 2011 l’aveva messo in rotta di collisione con Medvedev e soprattutto con la potente lobby militare-industriale, che premeva per un incremento degli investimenti in campo bellico: isolato, fu costretto a lasciare l’incarico il 26 settembre di quell’anno. Come una maledizione, da allora il vuoto creato dalle sue dimissioni ha provocato sempre più incertezza sia in Russia e nei paesi che guardano a Mosca come un partner economico di primo livello.
Quando Putin, tornato al Cremlino nel 2012, affidò a Medvedev la formazione del nuovo governo, rumors moscoviti parlarono allora di un Kudrin “in panchina”, pronto a subentrare al premier qualora non fosse riuscito a dare attuazione alle promesse politiche fatte da Putin in campagna elettorale per rendere più competitiva l’economia, ancora oggi tra le peggiori al mondo per capacità di attrarre investimenti esteri.
Era stato lo stesso presidente russo a dare fiato a queste voci quando, nonostante Kudrin alle Presidenziali avesse sostenuto l’oligarca Mikhail Prokhorov, aveva elogiato pubblicamente le competenze dell’ex ministro nel gestire le finanze russe durante la tempesta della crisi mondiale: molti ci avevano visto un vero e proprio “invito a nozze” per un tecnocrate in grado di realizzare con successo le riforme economiche, mantenere saldi i legami con il mondo finanziario e che al contempo fungere da garante agli occhi dei mercati, vista l’ottima reputazione di cui Kudrin gode anche presso il G-20 e nelle principali istituzioni finanziarie mondiali. Persino uno dei più influenti consiglieri economici di Medvedev, in un’intervista alla Bloomberg, aveva indicato l’ex ministro delle Finanze come premier ideale, capace di lavorare con professionalità per approvare le riforme politiche necessarie.
Un eventuale ritorno al governo di Kudrin fungerebbe perciò da garanzia per avviare seri processi di liberalizzazione e di privatizzazione di cui la Russia ora più che mai ha bisogno, ma sarebbe anche una importante concessione nei confronti dell’opposizione liberale, che de facto otterrebbe un ruolo non da poco nel nuovo governo, che potremmo definire di “larghe intese”. Non solo. Dal punto di vista politico, Kudrin andrebbe a controbilanciare l’influente “triumvirato” Shoigu-Rogozin-Ivanov, esponente della lobby militare: tutto ciò, mentre Putin si avvicina al giro di boa del suo mandato presidenziale, quando lontano all’orizzonte cominceranno a intravedersi le Elezioni del 2018, che potrebbero caratterizzarsi a questo punto per un’inattesa lotta per la successione a Putin