A sorpresa ieri Putin ha annunciato il ritiro delle truppe russe dallo scenario siriano. Resteranno sul campo i marinai che occupano la base navale di Tartus e gli aviatori di Latakia. L’obiettivo di allontanare i jihadisti dall’area sotto la protezione di Mosca è stato raggiunto. Se ci fermiamo a considerare i soli risultati militari, questi sono stati eccellenti per l’alleanza russo-iraniana-siriana. Al contempo, sono stati un mezzo fallimento per la coalizione occidentale. Attentenzione però, non è proprio così. Come scrive Rt: “Le truppe siriane hanno liberato più di 400 città e più di 10 000 chilometri quadrati di territorio, con l’appoggio dell’aviazione russa”. I terroristi di Daesh (ma anche quelli di altri gruppi impropriamente chiamati moderati) sono stati fiaccati nel morale e ridimensionati nelle loro fonti di finanziamento. I piloti russi hanno bombardato 209 siti di estrazioni di petrolio e hanno distrutto i mezzi con i quali questo veniva esportato nei paesi vicini, come la Turchia. Strategicamente (e politicamente) però la situazione generale è stabilmente sotto il controllo statunitense. Sono ancora gli Stati Uniti a governare quel crocevia di caos per scopi propri che non sono evidenti a tutti gli altri attori. Neanche ai Russi.
Certamente, il Cremlino non poteva permettersi di essere escluso da quel delicato snodo geopolitico, in una fase di rifacimento degli equilibri regionali (avviata sull’onda delle primavere arabo-africane, spronate da Washington) e, nemmeno, di perdere i suoi ultimi “insediamenti” all’estero, dopo il rientro dentro confini enormemente ridimensionati, rispetto a quelli dell’URSS. Tuttavia, c’è chi sostiene che l’intervento russo in Siria sia stato concordato con gli americani. Come la sua conclusione. Lo scrivono anche i giornali, forse è vero che: “Russia e Stati Uniti si siano davvero messi d’accordo per tentare di mettere fine alla guerra civile siriana, e che Putin abbia deciso il suo disimpegno dalle operazioni militari in cambio dell’impegno di Obama a rinunciare per ora a chiedere le dimissioni di Assad:una simile intesa, la prima dopo la crisi ucraina, sarebbe di buon auspicio non solo per le trattative ginevrine, ma anche per i finora tesissimi rapporti tra le due potenze…”. C’è stato un dialogo tra i due Paesi, sia nella fase precedente all’intervento russo, sia in queste ore in cui i russi annunciano di rientrare a casa. Ora bisogna lasciare spazio alla diplomazia e al “processo di pace,” cioè alla spartizione della torta, con gli Usa a fare da arbitro (niente affatto imparziale, essendo essi la principale parte in causa) tra influenze multiple che non saranno in ogni caso definitive. Ed è su questo terreno che Putin spera di raccogliere quanto seminato in questi mesi. Ha giocato la sua partita perché obbligato dalle circostanze. Gli occhi sono puntati sul medio-oriente ma anche, per gli interessi strategici russi, sull’estero vicino in ebollizione, su quell’Ucraina che il Dipartimento di Stato americano ha voluto destabilizzare per contenere le rinate aspirazioni internazionali di Mosca. Questa non è ancora in grado di fronteggiare “face to face” la superpotenza d’oltreoceano, benché sia riuscita a rimettersi in piedi dopo i nefasti degli anni ’90. Deve muoversi con circospezione per non essere attirata nelle trappole atlantiche e per non dilapidare le energie faticosamente accumulate negli ultimi tempi. Intendersi col nemico, finché non si è in grado di affrontarlo direttamente, è una cosa normale. Non bisogna restare sorpresi. I russi sono costretti a dialogare con gli americani e questi si servono dei primi quando il momento lo richiede. Ad ogni modo, la collaborazione tattica è anch’essa una forma morbida di conflitto, o di sua preparazione in virtù di scenari futuri più favorevoli (vale soprattutto per i russi oggettivamente più deboli degli americani), in cui però vengono messi in evidenza gli elementi unificanti (per ragioni d’opportunità) nonostante quelli dividenti siano decisivi. In seguito, questo si vedrà più chiaramente ma, per intanto, chi parte da posizioni svantaggiate deve andarci coi piedi di piombo. Saranno le dinamiche oggettive della fase multipolare ad approfondire gli attriti, sino a portarli al punto di rottura in cui i competitori principali, in alleanza con i loro satelliti e sottomessi, si confronteranno senza troppe mediazioni con gli avversari, ugualmente coordinati, per la conquista delle sfere egemoniche. La Storia va avanti così da sempre e la nostra epoca non fa eccezione. Quindi, state sicuri che è vero quanto si dice. I russi sono entrati in guerra e ne sono usciti, non su ordine di Washington, ma su indicazione di questa – che intendeva limitare gli appetiti dei suoi amici in perenne azzuffata e, piuttosto, fuori controllo, pensiamo alla Turchia e all’Arabia Saudita verso l’Iran col quale Obama ha da poco firmato un accordo sul nucleare; questa è un’ipotesi ma ve ne sono altre come – e per compiacerla. Ovviamente, il loro coinvolgimento non è avvenuto a gratis, i russi sperano di guadagnare più di quanto gli americani s’immaginano di voler concedere. Vedremo se hanno giocato bene le loro carte.