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La Ruta del Pisco: da Lima a Tacna le vigne dell’acquavite che unisce un Paese

Creato il 20 aprile 2015 da Eldorado

Tra Augusto Pinochet e Juan Velasco, presidente del Perù, non correva buon sangue. Fascista il primo, militare populista il secondo, vicino all’Unione Sovietica, i due erano divisi non solo dall’ideologia, ma da un impetuoso nazionalismo. Il peruviano avrebbe voluto riconquistare Arica, il cileno difenderla fino alla morte ed arrivare fino a Arequipa e magari di nuovo fino a Lima (ne scrisse a Kissinger). Velasco, era il 1974, comprò 600 carri armati all’Urss con la speranza di vederli percorrere il deserto di Atacama e Pinochet, per tastare di persona se il vicino stesse preparando una guerra, fu a Lima in visita ufficiale. L’unico regalo che ricevette da Velasco fu una bottiglia di pisco ¨Demonio de los Andes¨, una maniera nemmeno troppo sottile per ribadire due concetti: l’intenzione di dar battaglia e l’origine unicamente peruviana del pisco.
Una diatriba, quella sul pisco, che durava dall’epoca coloniale, che non si placò con Velasco e Pinochet e che si mantiene ancora oggi. L’aguardiente più famosa a sud di Panama prende il nome dal porto di Pisco, situato nel sud del Perù (¨pisco¨, a sua volta, è un termine quechua, che significa uccellino). Da lì si imbarcavano le otri dell’acquavite che si produceva nelle valli vicine -Ica, Cañete, Chincha- con una qualità che già al tempo doveva essere speciale, visto che Francis Drake nel 1580 accettò un riscatto in ghirbe di pisco per liberare alcuni notabili della città presi in ostaggio. La vite era arrivata in Perù già nella prima metà del XVI secolo dalle isole Canarie. Ufficialmente per colmare la necessità di provvedere di vino la Santa messa, ma si sa che non si possono fondare imperi senza l’ausilio di nettari inebrianti. Il vino prodotto nelle lande battute dal sole, a ridosso del deserto, non era granchè, ma l’acquavite fu subito un successo. A venderla e a detenerne il controllo, i Gesuiti, che fecero di tutto per aggirare le proibizioni emesse in rapida successione dalle autorità civili per evitare che il pisco facesse disastri tra la popolazione autoctona, non solo in Perù, ma negli altri territori della Corona spagnola (Panama e Guatemala ne vietarono l’importazione e la vendita). È alla fine del XVII secolo che il pisco arriva anche sulla costa nord del Cile, nella regione di Coquimbo e quindi ad Acatama. Da allora, con l’incremento dei traffici e del commercio, il pisco diventa un liquore riconosciuto in tutta l’America. Lo si ricorda nelle taverne di San Francisco, a dissetare e a dare coraggio agli avventurieri che partivano alla ricerca dell’oro e nelle descrizioni di scrittori famosi, come Rudyard Kipling, che lo taccia come ¨il più nobile prodotto della nostra era¨.
La Ruta del Pisco, che da Lima reca fino a Tacna, viene pubblicizzata ormai da una decina di anni come destinazione turistica d’eccellenza. Attorno ai poderi, i turisti possono visitare le vestigia Inca e delle culture ancora più antiche, come quella Paracas e quella Nasca. Sport estremi, una cucina da sogno e panorami mozzafiato completano il quadro. A Ica, la regione principe della coltivazione della vite, sembra che ogni centimetro quadrato sia stato strappato al deserto ed alle terre aride. Verde e grigio si alternano; verde sulla pianura, grigio appena la piana lascia spazio alle alture. Sembra un effetto speciale, il risultato di una coltura modello installata sulla Luna, piuttosto che sul nostro pianeta. I poderi sorgono ai margini della Panamericana uno dopo l’altro. Si passa dalle grandi estensioni dei latifondisti, delimitati da minacciosi cartelli, ai piccoli appezzamenti dove invece le insegne invitano il turista ad entrare e provare le varietà locali. La vite, onesta e pervicace, cresce nonostante la polvere, la povertà d’acqua ed il sole a picco. Da Ica viene la prima testimonianza storica, in un testamento datato 1613, sulla preparazione del pisco. Da qui, insomma, è cominciata tutta la storia.
Se l’origine è decisamente peruviana, i cileni però insistono sul nome universale della denominazione di pisco. Non quindi un prodotto di origine geografica, come può essere lo champagne, ma un nome generico da usarsi come il whisky o il gin. La questione è seria perché interessa la proprietà intellettuale ed il registro delle marche, a cui nè il Cile nè il Perù intendono rinunciare. Mentre l’America del Sud si è schierata con l’esclusività della posizione peruviana, il Cile attraverso la folta rete di trattati di libero commercio, è riuscito ad assicurarsi il riconoscimento di marca ‘Pisco Chileno’ nei mercati più ricchi: Stati Uniti, Canada, Messico, Unione Europea, Giappone, Cina e Australia. Il Perù, che ha fatto del pisco uno dei prodotti bandiera che rappresentano il Paese all’estero, continua ad insistere con la denominazione di origine controllata. L’accordo è lontano ed entrambi i governi difendono i propri interessi. Una soddisfazione, però, i peruviani ce l’hanno. Dove si vende di più il loro pisco? Naturalmente, in Cile.


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