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La Sala Rossa: il Mondo Visto da una Camera

Creato il 04 ottobre 2012 da Dietrolequinte @DlqMagazine
La Sala Rossa: il Mondo Visto da una Camera

È passato un secolo. Esattamente cento anni fa si spegneva in patria uno dei più grandi letterati e drammaturghi di tutta l’area scandinava, lo svedese Johan August Strindberg (1849-1912). Nel triste anniversario del centenario della sua scomparsa, vogliamo rendergli omaggio analizzando il suo primo romanzo, vale a dire La sala rossa (Röda rummet, 1879; letto da noi nell’edizione italiana Rizzoli, tradotta da Attilio Veraldi). In questa prima sardonica e mordace opera riscontriamo già tutto l’umorismo caustico e materialistico che pervaderà buona parte dell’opera strindberghiana, che solo in età avanzata si convertirà ad una sorta di spiritualismo astratto probabilmente legato anche alla sua psiche instabile. In questo materialismo corrosivo e dirompente, misto ad un alito nichilista strettamente interrelato, riscopriamo alcune caratteristiche che riguarderanno molta della narrativa contemporanea, persino di molti romanzi della letteratura post-moderna. In primo luogo alla base di tutto vi è una sorta di perdita del centro di gravità ruotante attorno ad unici e singolari protagonisti. L’asse di rotazione narrante è indiscutibilmente mosso, spostato, dal singolo all’universalità che lo circonda. Se le vicende partono inizialmente da uno dei principali personaggi, Arvid Falk, spirito indomito e ribelle che però ha insite le caratteristiche dell’animo fragile di un vinto, progressivamente, nel corso della narrazione e dei capitoli l’obiettivo della “macchina fotografica” dell’autore è volto a spiare, inseguire e impressionare anche tutti gli alti figuranti del romanzo. Montanus, Lundell e Sellen fanno tutti parte della stessa struttura perversa e fagocitante. All’interno di questo edificio concettuale vi è una critica spietata e ferocemente sarcastica di tutta la cultura svedese di fine Ottocento. L’iper-rispettabilità di facciata che pervade l’humus borghese del tempo è smantellata pezzo per pezzo e non uno degli aspetti di questo habitat alla deriva viene risparmiato. La politica, la burocrazia, persino tutta l’arte, la poesia e, in maniera esponenzialmente evidente il mondo corrotto del giornalismo, diventano il bersaglio delle frecciate debordanti della penna del nostro romanziere. Nulla è più autentico. Anche una qualsivoglia critica positiva o negativa diventa strumentale al proprio status di classe sociale. Nemmeno la sala rossa che dà il nome al romanzo, in cui si riunisce il “meglio” della gioventù bohémien del luogo, anime in rivolta ed apparentemente alternative che si dimostreranno più conformiste dello stesso mondo che rigurgitano, si salva da questo degrado morale.

una immagine di Johan August Strindberg 620x789 su La Sala Rossa: il Mondo Visto da una Camera

Tutte le forme d’arte espresse all’interno ed al di fuori di questo luogo tendono inesorabilmente ad arenarsi nel fallimento più totale. Tutti i protagonisti, chi più chi meno, vengono alla fine assorbiti ed integrati dal sistema. Un barlume di speranza alla ribellione è quasi infinitamente ridotto al lumicino. Ad aggravare questo ritratto (im)perfetto appare per la prima volta la mantide religiosa definita donna dal volgo, che diventerà l’obiettivo predestinato di August in tutte le sue opere successive. L’essere umano femminile, in un impeto indubbiamente misogino da cima a fondo, è un essere vile, un’entità traditrice dell’uomo e ineluttabilmente destinata ad un’inaffidabilità quasi genetica. Concezioni decisamente opinabili, ai giorni nostri, che però trovano il loro senso nell’ambiente maschilista del tempo ed in una sorta di Zeitgeist giustificazionista per il nichilismo strindberghiano. Risulta controverso analizzare globalmente questo romanzo, che se è ancora legato in alcuni tratti (l’odio verso il sesso femminile) ad una concezione antica, quasi desueta, di opera in prosa, per altri versi invece si presenta come opera di rottura, profondamente moderna. Il cupo pessimismo, la disgregazione dell’individualità e i personaggi di base che sono quasi degli sbandati sull’orlo del precipizio, genuinamente anarchici e figli del niente nell’animo, ci ricorda molta narrativa della contemporaneità, molti di quegli autori che hanno scritto nell’era post-industriale del benessere indotto. Alcuni personaggi sono pervasi da una negatività immane, come se fossero usciti da libri dei più recenti Cormac McCarthy o Charles Bukowski. Ovviamente il paragone è ardito, ma non fuori luogo, poiché parliamo ovviamente di un artista vissuto un secolo prima e comunque legato ad un epoca non vicinissima come quella ottocentesca, quantunque già pervasa da moti sovversivi e pensieri filosofici estremamente affascinanti e moderni. Un romanzo da consigliare, indubbiamente. In fondo, questo tormentato scrittore delle gelide terre nordiche aveva proiettato in sé, e oltre, buona parte delle inquietudini arrivate fino ai giorni nostri. Ogni tanto, dunque, per capire l’angoscia esistenziale odierna, è indispensabile operare un coraggioso salto nel passato.

una immagine di Copertina di una vecchia edizione ormai fuori commercio de La stanza rossa di Strindberg su La Sala Rossa: il Mondo Visto da una Camera


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