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La Sardegna, dopo Aragonesi e Spagnoli, nel '700 passa sotto altri dominatori
Creato il 09 maggio 2014 da Pierluigimontalbanodi Angelo Vinci
Dopo 4 secoli dalla fine dei Giudicati, che furono per la Sardegna un periodo di indipendenza, inizia un tempo assai travagliato che vede il continuo cambio di padroni. Padroni è un brutto termine, ma la Sardegna del primo Settecento fu considerata merce di scambio. Tutti i passaggi di mano iniziarono a seguito della guerra di successione al trono Iberico. Nel primo ventennio del 1700 passò di mano ben tre volte: Impero Asburgico, Regno di Spagna e Principato di Savoia. Ciò non avvenne solo in Sardegna. In quel periodo si scambiavano i possedimenti con facilità, senza curarsi dei disagi procurati alle popolazioni. I Savoia si fregiarono del titolo di Re proprio in virtù di uno scambio.
In Spagna, la guerra per il trono iniziò alla morte di Carlo II, ultimo discendente degli Asburgo del ramo spagnolo. Carlo II non lasciò eredi diretti ma designò suo erede Filippo di Borbone duca d'Angiò e nipote di sua sorella. Carlo II era sopranominato "lo stregato" in quanto si pensava che la sua salute cagionevole fosse da imputare a una "fattura". In realtà era il risultato dei matrimoni tra consanguinei assai frequenti nella casata degli Asburgo. Questa consuetudine era finalizzata a evitare che i possedimenti della casata non si frazionassero troppo tra diversi proprietari, come avveniva in altre case regnanti.
Un aspetto importante, relativo alla designazione di Filippo, fu la clausola posta da Carlo II che prevedeva la rinuncia da parte di Filippo al trono di Francia. La designazione di Filippo sollevò timori nelle potenze europee del tempo: Austria, Olanda, Inghilterra, Portogallo e Principato di Savoia. Questi timori spinsero queste potenze a coalizzarsi. Carlo d'Asburgo nel 1703 a Barcellona si fa proclamare Re di Spagna.
Come visse questo periodo la Sardegna?
La guerra di successione al trono iberico, diversamente di quanto avvenne altrove, non vide la Sardegna e il suo territorio interessata a operazioni militari importanti. Non altrettanto si può dire sul piano politico-sociale ed economico. Una crisi economica fu causata dal blocco navale posto in atto dagli alleati anglo-austriaci. In Sardegna la guerra di successione creò due fazioni: una sostenuta da Filippo V che faceva capo alle famiglie Aymerich e Castelvì, mentre l'altra faceva capo alla famiglia Alagon e al marchese di Villasor, e sosteneva Carlo d' Asburgo. Nella popolazione aumentò il senso di frustrazione e di rabbia per le vessazioni a cui era sottoposta. La Sardegna nel 1708 passa in mano austriaca dopo che un furioso bombardamento navale operato da una flotta anglo/olandese comandata dal britannico Laeke permise all'imperatore austriaco di annettere anche la Sardegna. Questo nuovo stato di cose e la presenza a Cagliari del nuovo viceré austriaco, fa fuggire in Spagna tutti coloro che appoggiavano Filippo V re di Spagna. La maggior parte di questi esuli forzati era costituita da nobili o maggiorenti delle città. Guidati da Vincenzo Bacallar tentarono di scacciare gli austriaci con lo sbarco di una flotta nei pressi di Olbia ma il tentativo fallì miseramente. Nei successivi cinque anni la Sardegna segna un periodo di pace ma il malessere delle popolazioni locali non si attenuò, anzi prese vigore con il banditismo, un fenomeno sociale riscontrabile anche in periodo giudicale. Diminuì solo durante la reggenza della giudicessa Eleonora d' Arborea, la quale riuscì ad attuare un maggior controllo delle zone rurali con l'emanazione di un codice di leggi, la "Carta de Logu", che introduceva pene severe per i furti e le rapine: IS FURAS.
Per spiegare il banditismo occorre analizzare la società rurale di quei tempi. Alle radici delle varie forme di criminalità diffuse nelle campagne stavano motivi di ordine economico, sociale e culturale che non potevano essere eliminati con l'intervento militare, con gli arresti e con le condanne. Nelle popolazioni rurali era radicata l'idea che la figura del bandito, fosse quella del vendicatore di ogni torto subito da parte di nobili e potenti. A volte i banditi erano protetti dal popolo perché eseguiva i propri atti "fuorilegge" verso i nobili e i potentati, e non verso la povera gente. La prepotenza che feudatari e signorotti perpetravano nei confronti della popolazione non aveva limiti e provocava povertà diffusa. Ritornando alle vicende del Regno, gli austriaci divennero i possessori dell'isola sarda, ma non apportarono cambiamenti nella politica, nell'economia e nella cultura. Si limitarono ad aumentare la pressione fiscale e l'esportazione del grano, facendo diminuire la disponibilità di questo prezioso bene alle categorie sociali meno abbienti.
Il sistema di governo non mutò, rimasero gli Stamenti e la Reale Udienza. Una novità fu l'istituzione di una nuova figura: l'Intendente Generale per la finanza e l'economia. In tema di tasse fu introdotto il sistema dell'esazione delle tasse tramite appalti affidati a privati. Venne introdotta una tassa coloniale sul tabacco, una coltura agricola diffusa fino al secolo scorso, specie nel Sassarese. Altro fatto nuovo fu la creazione della Regia Azienda del Tabacco, con sede ad Alghero, dove veniva lavorato, conservato e venduto. Questo luogo veniva chiamato "Estanco" o "Stancu". Ancora oggi in lingua sarda la rivendita dei tabacchi è indicata con questi termini.
Nel Luglio 1717 la Spagna riprese la Sardegna con una spedizione navale sbarcata nei pressi di Quartu e attestata poi sul colle di Monte Urpinu per assediare il castello di Cagliari. Gli austriaci sottoposti a un continuo bombardamento capitolarono. Il viceré lascio Cagliari con buona parte del suo entourage ponendo fine ingloriosamente alla dominazione austriaca della Sardegna da parte degli Asburgo d'Austria. Le intenzioni del nuovo sovrano iberico erano quelle di annettere Sardegna e Sicilia al regno di Spagna. Ideatore e artefice della riconquista della Sardegna fu il Cardinale Alberoni. Tra i suoi piani la Sardegna doveva fungere da ponte per le truppe spagnole destinate alla campagna militare siciliana. Immediatamente dopo la conquista di Cagliari gli spagnoli inviarono nell'isola sarda un cospicuo contingente militare, ma buona parte delle truppe proseguì per la Sicilia per tentarne la conquista. Non furono giorni felici per la Sardegna. I soldati spagnoli si lasciarono andare a ogni tipo di nefandezze specie nell'entroterra di Cagliari. La popolazione che aveva dovuto sopportare gli austriaci fu costretta a vivere un ulteriore periodo di soprusi da parte dei soldati iberici che depredavano anche i villaggi vicini. A tutto ciò si aggiunsero nuove tasse, una delle quali obbligava l'utilizzo della carta bollata negli atti pubblici. Il popolo sardo ormai si stava rassegnando quando si prospetta un nuovo cambio di proprietà. Il 2 Agosto 1718 a Londra fu siglato un accordo che impegnava la Spagna alla restituzione della Sardegna all'impero Austriaco che si impegnava a girarla ai Savoia che poterono fregiarsi del titolo di Re di Sardegna (fino ad allora erano dei principi). La dominazione sabauda durò 140 anni.
Il primo Re di Sardegna fu Vittorio Amedeo II. Nel trattato di Londra i Savoia sottoscrissero una regola che li impegnava a non modificare l'aspetto politico e sociale dell'isola ma mantennero l'impegno solo per i primi decenni. Qualche riforma iniziò a vedersi già alla metà del 1700. L'arretratezza della Sardegna si protraeva dalla fine del periodo giudicale e sotto gli aragonesi non si ebbero sviluppi, con il dominio feudale che impoverì il popolo. Vi è da dire che Amedeo II accettò a malincuore il possesso della Sardegna (aspirava alla Toscana) e impegnò ben poche risorse nell'isola, come pure fecero i suoi successori.
La Sardegna con i suoi 24.000 Kmq è una grande regione e quando passò ai Savoia contava appena 300.000 abitanti. Il territorio montuoso presentava scarsa viabilità verso l'interno, non permettendo un controllo adeguato del territorio e rallentando la movimentazione delle merci. Occorrerà aspettare Carlo Felice per vedere la nascita di una strada che collega in modo adeguato il nord con il sud. Negli anni seguenti proseguì l'impoverimento. Il persistere del feudalesimo aggravò questo stato e non vi era nessuna intenzione di abolirlo. I regnanti di casa Savoia trovarono la società sarda retta da un sistema feudale di stampo medievale e pensarono che eventuali modifiche avrebbero creato conflitti con i vecchi feudatari, piccoli "Rex in regno suo" come erano soliti dire gli aragonesi che permettevano loro di governare il feudo in autonomia. Ciò che importava è che riscuotessero le tasse. In città si stava meglio, e si diceva in quei tempi che i cittadini vivevano a sbafo degli abitanti delle campagne. I feudatari vivevano preferibilmente in città dove vi era il palazzo storico della famiglia e potevano mantenere i rapporti con le altre famiglie patrizie. Le dimore rurali venivano utilizzate saltuariamente per brevi soggiorni. Il feudo veniva amministrato da due persone di fiducia: il Podatori, che si occupava della parte economica, e il Reggidori, amministratore della giustizia, due figure di alto prestigio. Per il controllo delle campagne vi era un esercito rurale, costituito da tante compagnie disseminate in ogni villa (Biddas), costituite da uomini abili con le armi, scelti tra gli abitanti delle ville: le Compagnie Barracellari. Sorvegliavano le campagne per evitare furti di bestiame e operano ancora oggi. La società feudale, come in epoca spagnola, era suddivisa in classi sociali. All'ultimo posto vi erano i contadini, i pastori e gli artigiani, ossia il cosiddetto "popolino". Al vertice c'era il feudatario, subito dopo i nobili con titolo e poi quelli la cui nobiltà era stata "acquistata", infine c'erano i cavalieri. Sia i nobili che i cavalieri potevano fregiarsi del titolo di "Don", contrazione del latino dominus, ossia signore o padrone. A volte nelle Biddas vi erano dei cittadini che pur non possedendo alcun titolo di nobiltà erano più ricchi dei nobili. Erano pastori o agricoltori abili che riuscivano ad accrescere in misura considerevole il loro patrimonio, e proprio da loro nacque il malcontento che sfociò nelle sommosse alla fine del 1700. Venivano chiamati "Principales", termine ancora oggi in uso nell'isola per indicare i datori di lavoro "Su Prinzipale". I tributi erano alti e il malcontento montava sempre più tra i ceti sociali bassi.
C'erano tre tipologie di tributi: reali, giudiziali e personali. Ogni vassallo se usava o possedeva (nel caso dei Principales) la terra per uso agricolo o per il pascolo del bestiame, era tenuto al pagamento del TRIBUTO REALE. Mentre per il solo fatto di abitare nel territorio del feudo era tenuto a pagare una sorta di tassa di soggiorno ossia il TRIBUTO PERSONALE. Poi vi era il TRIBUTO GIURIDIZIONALE che veniva pagato per tutti i servizi pubblici che il feudatario offriva al vassallo. Questi tributi dovevano essere ben indicati nell'atto di infeudazione e il feudatario non poteva esigere altri tributi, ma con arroganza qualche feudatario inventava altri tributi. Coloro che maggiormente subivano questo stato erano i contadini, i pastori e gli artigiani. Qualche lento cambiamento si ebbe quando sulla scena sarda arrivo il conte Gian Battista Lorenzo Bogino che ricevette dal Re Carlo Emanuele III l'incarico di sovraintendente agli affari sardi. Arrivato nell'isola avviò un progetto di riforme moderato. Il Bogino guardava con interesse quella corrente di idee europea che veniva definita "Illuminismo". Il ridimensionamento dei privilegi di cui godeva il clero fu la prima riforma di Bogino. Prevedeva l'annullamento del diritto da parte del clero di concedere asilo in tutti gli edifici ecclesiastici a chiunque. In virtù di questo diritto assai spesso in tali edifici si rifugiavano assassini e facinorosi di ogni genere. Fu abolito il privilegio del "Foro" che prevedeva l'immunità per i membri dell'amministrazione ecclesiastica autori di qualsiasi delitto. L'abolizione di questi privilegi non portò alcun beneficio per la popolazione ma dava un segnale della volontà di cambiamento. Furono avviate delle piccole riforme sulla giustizia e sull'istruzione, con l'obbligo della lingua Italiana nelle scuole. Durante il periodo di Bogino la Sardegna migliorò leggermente. Sempre nell'istruzione fu avviata la riforma delle Università di Sassari e di Cagliari. La situazione dopo Bogino iniziò a mutare perché montava la protesta sociale. Nel 1779 vi fu una carestia dovuta alla siccità che ridusse la produzione di grano. Il Re inviò in Sardegna grandi quantità di grano e altrettanto fecero il Viceré e il Governatore di Sassari, ma il Viceré e il Governatore, tramite dei prestanome, rivendevano parte del grano fuori dall'isola compromettendo la buone intenzioni del Re. La rivolta fu innescata dalla decisione del Governatore di Sassari di chiudere il mercato civico. I rivoltosi occuparono tutte le vie dalla città e la devastarono. Non fu risparmiato nemmeno il Palazzo di Citta, che era la sede istituzionale più importante. La rivolta fu sedata con la distribuzione gratuita di grano, pane e carne ma i responsabili dei disordini furono impiccati in piazza. Gli annali raccontano di rivoltosi che dopo aver sfilato per le vie della città legati e con un remo in mano, furono graziati solo dopo aver baciato la forca.
Dalla carestia i contadini e i pastori trassero qualche vantaggio. Furono istituiti con regio edito del 22 Agosto 1780 i Monti di Soccorso (un antenato delle Casse di Credito Agrario) che consentiva a contadini e pastori di chiedere dei prestiti per il mantenimento delle loro attività. Negli anni successivi furono attuate delle piccole riforme, che migliorarono lievemente la vita dei vassalli ma nel 1793 avvenne un fatto che contribuì in modo notevole alla mobilitazione popolare. In primavera si riunirono a Cagliari i tre Stamenti del Parlamento Sardo che elaborarono 5 domande da presentare al Re.
1) L'immediata convocazione delle Corti o Parlamento Generale e il ripristino della loro convocazione decennale.
2) Il rispetto dei privilegi e delle fondamentali del Regno.
3) La rivendicazione degli impieghi della pubblica amministrazione ai sardi, fatta eccezione per la carica di viceré.
4) L'istituzione di una Terza sala della Reale Udienza o consiglio di Stato ordinario con il compito di istruire tutte le pratiche politico amministrative che non rientrassero nell'ambito dell'amministrazione della giustizia penale e civile.
5) La creazione a Torino di un apposito Ministero per gli Affari di Sardegna.
La missione dei sei delegati che partì per Torino con lo scopo di presentare al Re le 5 domande fallì perché i delegati, determinati nel voler presentare le domande solo al sovrano, si rifiutarono di esporle al Ministro dell'Interno Granieri nonostante la continua insistenza dello stesso ministro. Il Re, solo dopo tre mesi, fece delle promesse generiche che non soddisfaranno la delegazione. In Sardegna la notizia del fallimento scatenò il 28 Aprile 1794 la rivolta, che diede inizio alla "caccia al piemontese". Era da lungo tempo che la voglia di rivolta covava sotto la cenere, e questo sgarro del sovrano contro il popolo sardo la fece esplodere. Per le vie di Cagliari si riversò una marea di gente e già a tarda sera del 28 Aprile la città era sotto il controllo dei rivoltosi. Da questo momento iniziò un breve periodo di autogoverno da parte dei sardi. La Reale Udienza con soli giudici sardi assunse il governo dell'isola. Nel novembre del 1794 nel Logudoro scoppiò la rivolta delle popolazioni rurali. In tre paesi di questo territorio fu innalzato per la prima volta il vessillo antifeudale. Il 28 Dicembre 1794 un esercito di contadini entrò trionfante a Sassari e la occupò. La conquista di Sassari sancì definitivamente la rottura tra l'ala radicale e l'ala moderata dei rivoltosi. I moderati auspicavano un processo graduale di abolizione del feudalesimo. Il vento di rivolta soffiava con maggior vigore, la voglia di riscatto era forte. L'insofferenza maggiore era tra i Principales, i facoltosi contadini e allevatori. Furono proprio essi a far innescare la rivolta. Anche la piccola nobiltà cominciò a manifestare insofferenza nei confronti dei piemontesi. Da queste due categorie giunsero molti patrioti che appoggiarono la rivoluzione (fallita) di Giovanni Maria Angioy, un nobile minore, ossia proveniente da una famiglia della nobiltà rurale di Bono (nel Sassarese). Si laureo a Sassari, poi trasferitosi a Cagliari iniziò a far pratica per intraprendere la carriera di avvocato. Abbandonò subito questa strada e iniziò gli studi di diritto, maturando il desiderio di porre fine alla tirannia dei feudatari. Ispirandosi alla rivoluzione francese, iniziò la sua rivoluzione. Gli fu assegnato il ruolo di Giudice della Reale Udienza ed ebbe modo di vedere le ingiustizie dei feudatari. Il feudalesimo era un male atavico della Sardegna e la manteneva in una situazione di arretratezza. Non vi erano innovazioni dei settori produttivi e con questo stato sociale disastroso il 28 Aprile 1794 a Cagliari la popolazione esasperata uccise due funzionari della corona dando inizio alla ribellione. Furono uccisi il Generale Gerolamo Pitzolo e il Generale Gavino Paliaccio, innescando un effetto domino. In tutta l'isola si susseguirono atti di rivolta contro i piemontesi e si effettuo una vera e propria caccia agli stessi. Quei giorni sono ricordati come: Sa Die De S'Acciapa (i giorni dell' acchiappa). Mentre il giorno dell'inizio della rivolta viene ricordato come Sa Die De Sa Sardigna (il giorno della Sardegna). Ogni anno si celebra la rappresentazione di quei fatti con figuranti in costumi dell'epoca. Tutti in Sardegna conoscono l'inno antifeudale impropriamente chiamato "PROCURA DE MODERARE BARONES SA TIRANNIA". Questo inno è il simbolo del triennio rivoluzionario (1793-1796). Il vero titolo di questo inno è "Su patriotu sardu a sos feudatarios" e fu scritto da Francesco Ignazio Mannu, un magistrato di Ozieri (vicino Sassari) che partecipò attivamente al movimento rivoluzionario sardo. In questo inno si rappresenta il malessere delle classi sociali povere e di chi mal sopportava il feudalesimo. La si può definire una piccola “Marsigliese Sarda” che denuncia i soprusi e le vessazioni a cui è sottoposta la popolazione da parte dei feudatari. Il 2 giugno del 1796 Giovanni Maria Angioy assieme a un nutrito numero di rivoltosi marcia verso Cagliari. L'intento era di negoziare con il governo l'abolizione del sistema feudale. Molti storici sono stati dei detrattori dell'azione di Giovanni Maria Angioy, soprattutto Giuseppe Manno. La marcia di Angioy fu interrotta a Oristano il 10 giugno. Rientrò con molta fretta a Sassari per poi imbarcarsi per Genova. Sulla sua testa fu posta una forte taglia che lo costrinse a spostarsi poi a Livorno da dove cercò invano l'appoggio di Napoleone Bonaparte alla causa sarda. Angioy si spostò a Casale dove rimase molti mesi in attesa di una risposta alle richieste inviate al Re in merito al proprio operato durante la rivolta sarda. Non ricevendo alcuna risposta andò in Francia da dove non fece più rientro in Sardegna. La Sardegna tornò sotto il pieno controllo dei regnanti di casa Savoia e riprese il suo sonno politico, sociale e culturale.
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