lo pseudo aristotele e diodoro siculo
Uno degli autori spesso citati dagli studiosi è lo pseudo Aristotele il quale riporta una precedente tradizione: “si dice che nell’Isola di Sardegna esistevano degli edifici modellati secondo l’antica tradizione ellenica (Micenea?) e molti altri splendidi edifici, e delle costruzioni con volta a cupola e con straordinario rapporto delle proporzioni”. Questa frase è stata interpretata come la testimonianza che le strutture architettoniche sarde fossero una diretta filiazione di quelle micenee e che gli edifici voltati a cupola fossero naturalmente i nuraghi. A questo punto sorgono spontanee alcune domande:
- quali sono esattamente gli edifici modellati secondo l’antica tradizione ellenica? - quali sono gli altri splendidi edifici? - come mai lo pseudo Aristotele non conosceva il nome e la funzione degli edifici voltati a cupola dal momento che non parla né di templi né di fortezze?
Noi non conosciamo le risposte e socraticamente ci limitiamo a porre delle domande atte a dare degli spunti di riflessione. L’autore in questione riteneva che gli edifici di cui parlava fossero opera di Iolao che condusse nell’isola una colonia formata dai Tespiadi[1] figli di Eracle perché quest’ultimo riteneva che gli appartenesse per diritto qualunque terra situata ad Occidente. In un altro passo attribuisce ad Aristeo il merito dell’introduzione dell’agricoltura nell’isola e, per dimostrare che prima dell’arrivo dell’eroe non esisteva civiltà, dice che nei tempi più antichi prosperavano soltanto grandi uccelli.
Diodoro Siculo dà un’altra versione del motivo per il quale Eracle decise di mandare in Sardegna Iolao e i Tespiadi: al termine delle famose dodici fatiche Eracle attendeva di essere accolto tra gli Dei dell’Olimpo, ma, secondo un oracolo, egli prima di essere assunto tra le divinità doveva adempiere ad un ultimo dovere, doveva cioè spedire una colonia nell’Isola di Sardegna con a capo i 50 figli che ebbe dalle Tespiadi, data la loro giovanissima età nell’impresa furono guidati dal nipote Iolao. Non tutti i giovani seguirono la colonia, due di essi restarono a Tebe, perciò Iolao raccolse i restanti 48 e molte altre persone che vollero unirsi alla colonia. I colonizzatori, secondo l’autore, vinsero in battaglia gli indigeni e presero possesso della zona pianeggiante dell’Isola e, soprattutto, di quella che ancora ai tempi di Diodoro (circa 80 a.C.) veniva chiamata Ioleo; bonificò la regione, piantò degli alberi da frutta e la rese appetibile ai cartaginesi (il mito diorodeo è chiaramente in funzione anticartaginese).
Come ben sappiamo gli autori greci cercavano di riportare nella loro sfera di influenza culturale ogni opera degna di nota, le grandiose strutture megalitiche che costellavano la Sardegna non erano sicuramente sfuggite all’ammirazione degli antichi esploratori, esse non potevano essere l’opera di barbari e incolti selvaggi, quindi Diodoro le attribuiva a Dedalo chiamato nell’Isola dallo stesso Iolao. Sempre secondo la tradizione, Dedalo edificò “…anche ginnasi grandi e suntuosi e istituì dei tribunali e tutte le altre cose che conducono alla prosperità”(Anche in questo caso non è facile individuare questi edifici dalle rilevanze archeologiche a nostra disposizione). Iolao chiamò Iolaei gli abitanti della colonia in accordo con i Tespiadi che gli diedero addirittura il titolo di progenitore ponendolo tra gli eroi ecisti della Sardegna, perciò in seguito furono istituiti dei riti che lo veneravano come “Iolao padre”. Un oracolo di Apollo predisse la libertà perpetua a tutti gli appartenenti alla colonia e ai loro discendenti, tale vaticinio si rivelò esatto fino ai tempi di Diodoro, il quale affermava che i discendenti dei Tespiadi, nonostante gli sforzi dei Cartaginesi e dei Romani, mantennero ancora ai suoi tempi la libertà pur imbarbariti e segregati nelle montagne. Attraverso gli scritti di Diodoro sappiamo che Aristeo, un altro eroe ritenuto fondatore, arrivò nell’incolta Sardegna su suggerimento di sua madre, la ninfa Cirene, e vi si stabilì istituendo la tecnica della coltivazione. Anche in questo caso si può notare che l’eroe in questione arrivò nell’Isola attraverso il suggerimento di un essere sopranaturale (la ninfa) ed egli stesso era un semidio essendo suo padre il dio Apollo. Concludendo si può affermare attraverso questa breve analisi che per gli antichi autori greci la Sardegna era una terra mitica colonizzata da personaggi favolosi, insomma una terra “altra” di libertà che, dietro la giustificazione del mito, cercarono di porre sotto il loro dominio al fine di legittimare la loro vana intenzione di espandersi verso Occidente. Fabrizio e Giovanna
[1] I Tespiadi erano i 50 figli che Eracle ebbe dalle 50 figlie del re di Tespie, Tespio figlio Ereteo di stirpe ateniese, con le quali si accoppiò in una sola notte.