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La sardegna vista dagli storici antichi - ii parte -
Creato il 03 settembre 2012 da Ilmulinodeltempo @IlMulinodelTempPausania Proseguiamo il discorso sugli storici antichi che in qualche modo siano utili alla conoscenza del remoto passato della Sardegna. Facendo un salto temporale di alcuni secoli analizziamo l’opera del periegeta Pausania, erudito greco del II secolo d.C., grazie al quale siamo in grado di avere notizie molto interessanti sui primi mitici civilizzatori dell’Isola. Lo scritto di Pausania appare in parte influenzato e debitore delle tradizioni precedenti, soprattutto quelle importate da Timeo[1] e Diodoro Siculo. La narrazione sugli avvenimenti riguardanti la Sardegna prende spunto dalla notizia di una delegazione di sardi che nel VI secolo a.C. portarono al santuario di Delfi una statua di bronzo “di colui che diede loro il nome”[2]; nel proseguo del suo discorso l’autore fornisce una descrizione storica e geografica dell’Isola che, a suo dire, regge il confronto come dimensioni e fertilità con quelle più importanti e famose. Il periegeta ci fornisce anche le misure, infatti, secondo lui, raggiunge una lunghezza di 1200 stadi e 470 di larghezza; a fronte di questa precisione dichiara di non conoscere quale fosse il nome originario della Sardegna. Il nome Ichnusa fu dato dai greci che navigavano per commercio perché la sua forma ricorda quella di un piede umano, il nome attuale viene da Sardo figlio di Maceride, l’Eracle egizio-africano, autore di un celebre viaggio a Delfi. che, con una colonia di libi (africani), si stabilì in Sardegna. I nuovi venuti furono accolti pacificamente dagli indigeni (di cui Pausania non conosce l’origine e che Strabone definisce Tirreni) più per la loro superiorità numerica che per mera ospitalità; né gli uni né gli altri sapevano edificare città, quindi vivevano in capanne e grotte. Aristeo, secondo il periegeta, è il primo degli elleni a giungere in terra sarda, immediatamente dopo i libi[3] di Sardo, qualcuno ha voluto leggere questo mito come il retaggio di contatti tra Egei e Sardi in epoca Micenea. Aristeo, figlio di Apollo e della ninfa Cirene, addolorato per la morte del figlio Atteone, non riuscendo più a vivere in Beozia decise di recarsi in Sardegna. Pausania riporta anche la notizia che, insieme all’eroe greco, giungesse sull’isola anche Dedalo, il famoso architetto che edificò il labirinto di Cnosso, fuggito a causa della pressione dei cretesi. L’autore però dimostra di non credere a questa notizia perché secondo le sue fonti Dedalo visse a Tebe al tempo in cui regnava Edipo. Neppure Aristeo e i suoi coloni costruirono città perché, secondo il mito, non avevano una sufficiente forza-lavoro a disposizione. Secondo alcuni studiosi il fatto che nemmeno Aristeo avesse edificato città potrebbe retrodatare il ricordo della presenza di gruppi umani provenienti dall’Ellade addirittura al neolitico finale o inizio dell’eneolitico (per la Sardegna il periodo che corrisponde alla Cultura di Monte Claro). Dopo Aristeo giunse nell’Isola una spedizione di Iberi capeggiati da Norace[4], figlio di Ertea nata da Gerione e Mercurio, ai quali secondo il mito si deve l’edificazione di Nora, la prima città della Sardegna. Norace è quindi il primo edificatore di città, la sua presenza in Sardegna è da ascrivere quasi sicuramente all’epoca storica. Il quarto eroe che mise piede nell’Isola fu Iolao, a capo dei Tespiesi figli di Eracle e delle figlie del re di Tespie e di un gruppo proveniente da altre parti dell’Attica. I coloni edificarono la città di Olbia e gli Ateniesi in particolare Ogrille. In Pausania si evidenzia il chiaro intento di ascrivere il mito di Iolao all’azione dei coloni Attici e, in particolare agli Ateniesi, mentre questo non è riscontrabile nella tradizione riportataci da Diodoro Siculo. Secondo varie tradizioni a Iolao si devono l’introduzione delle leggi e la costruzione di palestre, ginnasi e tribunali che perdurarono per alcuni secoli e lo stesso Pausania riferisce che ai suoi tempi (II sec. d.C.) esistevano ancora in Sardegna dei luoghi chiamati Iolaei in cui Iolao era venerato come il dio padre fondatore. Il Periegeta introduce anche il mito di Troia attraverso l’espediente della dipartita dei Troiani dalla loro distrutta patria e dal loro fortuito approdo nell’Isola dove si mescolarono con i greci preesistenti. Non manca un piccolo accenno ai “Barbari” abitanti primigeni dell’Isola definiti Tirreni sia da Strabone, sia in uno scolio al Timeo di Platone[5], i quali, secondo l’autore, non attaccarono i Greci perché il loro numero non lo consentiva e perché tra i due schieramenti si frapponeva “l’invalicabile confine del fiume Tirso[6]”. La compagine greca fu distrutta da un’altra ondata di popoli provenienti dall’Africa e solo alcuni di loro si salvarono, i Troiani invece riuscirono a sfuggire ai nemici rifugiandosi sulle montagne mantenendo il nome di Iliensis fino ai tempi di Pausania, pur assomigliando per usi, costumi e armamenti agli africani. Le notizie del periegeta sono frammentarie ed ammantate di apporti mitologici, egli scriveva nel II sec. d.C., epoca in cui la Sardegna era solidamente sotto il controllo di Roma, quindi è ovvio che le notizie in suo possesso provenissero da tradizioni di seconda mano contaminate da elementi di cui è rimasta una traccia molto vaga. Fabrizio e Giovanna Riferimenti bibliografici: Pausania, Periegesi dell'Ellade
Ignazio Didu, I greci e la Sardegna
[1] Probabilmente Timeo di Tauromenio, storico greco vissuto tra la II metà del IV secolo e l’inizio del III secolo a.C. [2] pausania, Periegesi dell’Ellade, X, 17, 1 ss. [3] Gli antichi identificavano la Libia con l’intero continente africano [4] Per il mito e le implicazioni storiche di Norace rimandiamo ad un prossimo post che tratterà specificamente le interpretazioni storiche dei diversi miti [5] In tale scolio si narra che il nome dell’Isola si deve alla moglie di Tirreno che si chiamava appunto Sardò [6] In realtà allora come oggi il fiume poteva essere guadato senza grosse difficoltà soprattutto da parte di presunti navigatori esperti quali erano i Greci; in tal modo l’autore dimostra oltretutto di non conoscere geograficamente il territorio oggetto del suo racconto.
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