Magazine Diario personale

La sarneghera.

Creato il 03 giugno 2013 da Tazzina @tazzinadi

La sarneghera.

Laura Mühlbauer, La sarneghera, Elliot*


La sarneghera.

"La sarneghera era un modo di vivere, vociare di bambini".


La Sarneghera.
"Questa voce sembra arrivare da un altro mondo". 
Io, ogni tanto, ho delle fortune. Non so quanto meritate. Ma una di queste è stata, di recente, avere una conversazione con la editor di questo romanzo. Che ha descritto la voce dell'autrice come in effetti provenire da un altrove, misterioso, bellissimo. E, aggiungo io, denso, benché rarefatto, di significati molteplici, e di inestimabile valore. 
La citazione in esergo di Pavese tradisce con discrezione una sorta di, non so se ispirazione, ma direi proprio discendenza letteraria dagli autori grandi e forti del secolo scorso. Secolo in cui è ambientata la storia. In un ventaglio temporale che parte dal 1920 e culmina nel 1952. Con gli stessi personaggi che crescono, cambiano, si ammalano, amano, fanno figli, viaggiano e talvolta muoiono.
Una famiglia radicata in un paesino sul Lago Iseo. Una famiglia povera con molte donne - "una donna se la cava sempre, sai" - e molti destini minimi, piccoli, minuti e grandiosi insieme. 
E molte parole scagliate in dialetto, sussurrate, non dette, molti odori, cibi, abiti scomodi, rinunce, non scelte, fughe, dedizioni e miracoli.
Il miracolo più evidente, il più dolorosamente grandioso, è l'amore, ma ne parliamo dopo.
Si susseguono dunque personaggi memorabili, feroci nella loro ottusità animalesca come il padre Celesto Buelli detto Ol Buel, primitivi, come la madre Gianna che muore mettendo al mondo la terza figlia. E da questa ferocia primitiva ne scaturisce un'intera discendenza di male sparpagliato e di ricerca di qualcosa.
E c'è Dio, in queste pagine. E il suo contrario: la malattia, che si scambia col demonio e s'intraprendono pertanto numerosi esorcismi laddove l'autrice, per la quale provo una sincera ammirazione, mette in luce un aspetto sempre poco noto della Chiesa, e del nostro Paese, con uno sguardo affilato e laterale, oscuro ma anche commovente per come si mostra l'uomo alle prese con i misteri della vita terrena. 
E c'è questo vento, questa enorme perturbazione, la sarneghera, che spazza via tutto e ricompone. 
"Una presenza costante da quelle parti, anche nell'assenza invernale, capace di cambiare le sorti di un'intera generazione oppure di ripulire, risparmiando la fatica quotidiana dell'uomo".
Dicevamo dell'amore, del miracolo e del mistero. La storia che tra le altre mi ha colpita di più è quella di Agnese. Per chi, come me, è alla ricerca di una definizione dell'amore, qui c'è una risposta.
C'è un amore impossibile. 
Chi di voi è alla ricerca di questa definizione, come me, e non l'ha ancora trovata, si sentirà confortato da questo discorso dell'amore impossibile. E penserà, come me, che tutti gli amori sono impossibili. 
Ma quanto ci sbagliamo, poveri noi!
C'è un aspetto dell'amore, qui, che la scrittrice tratteggia nella vicenda di Agnese, che farebbe ricredere anche il più cinico, il più solo tra noi. Ma non pensiate a niente che sia meno di straziante, devastante. Ineluttabile. L'amore, qui, vero, inequivocabile, irreversibile, dura un'eternità ma un istante solo. Permea tutto, e non conta niente. Decide tutto, e niente. Si mostra semplicemente per quello che è. Una immensa perturbazione che non se ne va fino a che non ha portato a termine il suo compito.
Ed ecco che torna il sereno. Nella vita di Agnese, in un modo assolutamente imprevisto, tenero, misericordioso. 
Questo libro è buono. Umano. Dove si mostra che l'uomo è natura, e cultura un po' anche. Violento e operoso. Spietato e dolce. 
Sembra scritto con il sangue. E con una piuma d'oca bianca. Il linguaggio è raffinato ma mite. Perfetto, inconsueto e superiore, e modesto, come chi non ha altro da aggiungere se non il compimento di sé. 
Non so in effetti come e dove sia stato concepito, senz'altro è vero: da un altro mondo, è proprio così. Arriva da lontano.
*Grazie Illy per avermi donato alcune tazzine! 

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