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Mi è venuta tra le mani proprio qualche giorno prima di partire. Cercavo una scacchiera di piccole dimensioni, tanto per non occupare ulteriore spazio, essendo la macchina ormai come quella della famiglia Brambilla in vacanza. Ed eccola che salta fuori da uno si quegli spazi dimenticati, uno di quegli inghiottitoi dove le cose vanno a finire per decenni e nessuno riesce a capire dove siano sparite, fino a che non saltano fuori, così inaspettatamente a dire: non sono morto, eccomi qua, ti ricordi? Certo che me la ricordo quella mattina di 60 anni fa, quando per mano al mio papà risalivamo il cavalcavia che portava al Dopolavoro. Era il giorno della Befana dei ferrovieri, che toccava a tutti quei bambini che avessero compiuto i 5 anni e io li avevo compiuti proprio quell’anno, ma non avevo capito bene di cosa si trattasse. Nel grande salone del cinema, proprio le stesso in cui lo scorso anno ho tenuto un paio di conferenze per l’UNITRE (pensa un po’ che emozione), il palcoscenico era completamente coperto di pacchi colorati e luccicanti; nessun dubbio, erano tutti giocattoli nuovi di zecca in attesa di essere distribuiti; il regno dei balocchi, il paese del Bengodi. Realizzai, dietro indicazione paterna (ero già molto intelligente sebbene piccino) che qualcosa sarebbe toccato a tutti, anche se il salone era pieno zeppo di ragazzini vocianti che si accalcavano per mettersi in prima fila. Non so come ma ad un certo punto toccò a me, accompagnato poiché timidissimo (come fui sempre anche in seguito) dal protettivo genitore che mi spinse a reclamare il mio. Qui sorgeva il problema. E’ un po’ come l’informazione sul web, quando ce n’è troppa, finisci per confonderti e non capire più nulla. Evidentemente avrei voluto prendere tutto, ma sapevo che si imponeva una scelta, una scelta difficile, perché ad ogni bambino toccava un regalo, uno solo. Non mi ricordo assolutamente cosa ci fosse, di certo giocattoli belli e desiderabilissimi, tra cui sicuramente anche il famigerato Meccano n.5, oggetto inespresso del desiderio di ogni bambino che si rispettasse, che qualcuno diceva esistesse solo nei sogni più arditi, ma io sapevo che c’era, perché lo avevo visto a casa di un mio compagno di scuola dato per ricchissimo, che lo aveva esibito con la nonchalance di chi può. Però, non so cosa sia scattato in quel momento, fatto sta che ad un tratto comparve davanti a me quella scacchiera magica, scacchi da una parte e tela dall’altra, con annesso un cassettino con le pedine e una scatoletta con i pezzi completi. Ne fui come ipnotizzato. Anche se non sapevo giocare, forse ne avevo sentito parlare, ma non seppi più staccarmene e tesi le mani frementi per il desiderio di possesso, una avidità evidentemente insita nell’uomo fin dalla sua nascita. Ebbi il dono che veniva fornito assieme ad un libro (mica poi tanto scemi ‘sti ferrovieri). Scelsi le Tigri di Mompracem, che mi procurò un’altra dipendenza fatale e che forse diede il via al mio interesse per la lettura. Ed eccola qui, quella piccola scacchiera, davvero povera, di legno di balsa, che il tempo ha leggermente incurvato, sbiadendone il colore. I pezzi torniti alla meglio ci sono ancora tutti, un po’ troppo alti, un po’ sbilenchi che si coprono l’un l’altro sui quadretti troppo piccoli. Eppure lì sopra ho imparato, mi sono appassionato al meccanismo del gioco; forse proprio di lì è nato il mio interesse per capire i meccanismi di uno schema, la voglia di penetrare i segreti delle strategie, la sensazione di come sia bello giocare mettendo alla prova le proprie capacità. Beh dopo 60 anni, funziona ancora egregiamente, il meccanismo che la regola non ha i contatti ossidati, non si è inceppato, per lo meno fino a quando non si incepperà il mio di meccanismo e dà soluzioni sempre nuove e sempre diverse. Avevo fatto una buona scelta. Ricordo che comunque, mi ero detto che il Meccano n. 5 lo avrei arraffato l’anno successivo. Il 6 gennaio dell’anno dopo ero pronto, ma non ci fu più la Befana dei ferrovieri. Credo avessero finito i soldi e si cominciò da lì a tagliare il superfluo. Era già crisi e da qualche parte bisogna pur cominciare con i sacrifici.
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