Magazine Poesie

La scatola sonora 30

Da Narcyso

Ascoltando questa strepitosa interpretazione di Patricia Petibon, vengono in mente molte riflessioni. Innanzitutto, più passa il tempo, più mi sembra che il valore della ricostruzione filologica – presunta – demandata giustamente a uno studio specialistico e di ricollocazione storica dell’oggetto, in questo caso musicale, non debba necessariamente coincide col compito dei cantanti, dell’orchestra, della regia, il cui valore è quello di indicare suggestioni, immaginazioni, possibili altre strade, in modo da consegnare la musica alle generazioni successive; viva, e non musealizzata. In una messa in scena, in una vocalità, noi non leggiamo l’opera qual è, che non cambia mai, – chi sa dire quale sia il senso definitivo di un’opera è un presuntuoso – ma i nostri tempi, cosa che ci deve interessare quanto l’opera stessa. Fanno veramente pena i cosiddetti melomani che commentano le interpretazioni dei cantanti, spesso con una ferocia che rasenta l’imbecillità, in nome di modelli che non esistono da nessuna parte, di un conservatorismo francamente vomitevole e inutile.
Tornando a Handel: qui la vocalità è a disposizione della teatralità – vedi le pause, complice la direzione musicale e la regia -. Sentiamo, dunque, suoni rotti, rauchi, altro che bel canto del barocco!, cosa che mi fa riflettere profondamente su che cosa sia barocco e su quali stratificazioni si siano poggiate le interpretazioni, proprio in mancanza di prassi musicali. E allora, magari, qui, siamo in presenza di un torto profondo, simile a quello che fa Cecilia Bartoli cantando il primo romanticismo come epigono del barocco, ma chi se ne frega! Ascoltando quest’aria, capisco, per esempio, quali siano stati i lasciti dei modelli, e mi viene in mente immediatamente Il lamento di Arianna di Monteverdi; questo modo di cantare mi sembra proprio una declinazione di tutto il problema, trascinatosi fino al novecento, del rapporto tra recitativo e melodia e si capisce come, a piccoli passi, il recitativo sia diventato una specie di declamato che include anche la melodia – è un caso che i recitativi di Handel siano così brevi, e che poi tutto vada a confluire nell’aria con a capo che, di per sé non risolve la drammaturgia e i suoi nodi, se non in una successione di arie di vario genere, cioè nella totalità di un organismo che si organizza, appunto, come un puzzle? -.
Ma bando alle ciance, ora … Il modo migliore è di ascoltare con animo aperto, lasciando la nostra arpa eolica interiore vibrare al vento della musica.


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