Ascoltando questa strepitosa interpretazione di Patricia Petibon, vengono in mente molte riflessioni. Innanzitutto, più passa il tempo, più mi sembra che il valore della ricostruzione filologica – presunta – demandata giustamente a uno studio specialistico e di ricollocazione storica dell’oggetto, in questo caso musicale, non debba necessariamente coincide col compito dei cantanti, dell’orchestra, della regia, il cui valore è quello di indicare suggestioni, immaginazioni, possibili altre strade, in modo da consegnare la musica alle generazioni successive; viva, e non musealizzata. In una messa in scena, in una vocalità, noi non leggiamo l’opera qual è, che non cambia mai, – chi sa dire quale sia il senso definitivo di un’opera è un presuntuoso – ma i nostri tempi, cosa che ci deve interessare quanto l’opera stessa. Fanno veramente pena i cosiddetti melomani che commentano le interpretazioni dei cantanti, spesso con una ferocia che rasenta l’imbecillità, in nome di modelli che non esistono da nessuna parte, di un conservatorismo francamente vomitevole e inutile.
Tornando a Handel: qui la vocalità è a disposizione della teatralità – vedi le pause, complice la direzione musicale e la regia -. Sentiamo, dunque, suoni rotti, rauchi, altro che bel canto del barocco!, cosa che mi fa riflettere profondamente su che cosa sia barocco e su quali stratificazioni si siano poggiate le interpretazioni, proprio in mancanza di prassi musicali. E allora, magari, qui, siamo in presenza di un torto profondo, simile a quello che fa Cecilia Bartoli cantando il primo romanticismo come epigono del barocco, ma chi se ne frega! Ascoltando quest’aria, capisco, per esempio, quali siano stati i lasciti dei modelli, e mi viene in mente immediatamente Il lamento di Arianna di Monteverdi; questo modo di cantare mi sembra proprio una declinazione di tutto il problema, trascinatosi fino al novecento, del rapporto tra recitativo e melodia e si capisce come, a piccoli passi, il recitativo sia diventato una specie di declamato che include anche la melodia – è un caso che i recitativi di Handel siano così brevi, e che poi tutto vada a confluire nell’aria con a capo che, di per sé non risolve la drammaturgia e i suoi nodi, se non in una successione di arie di vario genere, cioè nella totalità di un organismo che si organizza, appunto, come un puzzle? -.
Ma bando alle ciance, ora … Il modo migliore è di ascoltare con animo aperto, lasciando la nostra arpa eolica interiore vibrare al vento della musica.