La scelta
di Michele Placido
con Ambra Angiolin, Raoul Bova, Valeria Solarino, Michele Placido
Italia, 2015
genere, drammatico
durata, 86'
Nella filmografia di un regista umorale ed eclettico come Michele
Placido è possibile identificare almeno tre linee di sviluppo. La prima a
manifestarsi e che in un certo senso gli ha permesso di imporsi come
autore a tutto tondo è stata quella impegnata e militante, cui
appartengono "Pummarò" e "Un eroe borghese". C'è poi il filone dedicato
ai crime movie, con lungometraggi come "Romanzo criminale" e
"Vallanzasca" che hanno espanso la fama del regista oltre i confini
nazionali, consentendogli di dirigere - ne "
Il cecchino"-
due mostri sacri del cinema francese come Mathieu Kassovitz e Daniel
Auteuil. Infine, esiste un terzo segmento, forse il più controverso, per
i difetti rilevati dalla critica, in cui Placido ha dato sfogo al suo
lato maggiormente appassionato e autoriale, raccontando la tenzone
amorosa nella malinconica e struggente versione fornita dalle sue opere.
Alla pari di "Un viaggio chiamato amore" e "Ovunque sei" anche "La
scelta", il nuovo film del regista pugliese, sembra seguire"
un'ispirazione diversa e più personale, caratterizzata da una rinnovata
libertà creativa che investe sia gli aspetti formali che quelli di
scrittura.
Partendo da un testo di
Luigi Pirandello (L'innesto)
Placido immagina l'esistenza di Laura e Giorgio, sconvolta dalla
decisione di portare avanti una gravidanza che quasi certamente è il
frutto della violenza subita dalla donna. Il dubbio, alimentato dalla
probabile sterilità della coppia, è rafforzato dalla decisione di Laura
di evitare gli accertamenti che potrebbero risolverne il quesito. Un
dramma che "La scelta" racconta dall'interno, pedinando l'escalation
emotivo di una relazione che si sfalda sotto i colpi del destino; e per
la volontà di Laura, decisa a respingere i tentativi del marito,
intenzionato a disfarsi delle "conseguenze" di quel tragico evento. E
che poi, per riflesso, si estende al mondo circostante, con i parenti e
gli amici chiamati a recitare, tra buona fede e ipocrisie, il ruolo
della ragione e del buon senso. Detto subito che il lavoro sugli attori è
come al solito eccellente e che la coppia interpretata da
Raoul Bova e
da
Ambra Angiolini comunica al meglio il travaglio interiore dei
personaggi, "La scelta", viene meno alle premesse quando,
nell'intenzione di raccontare il dolore attraverso il non detto che si
cela dietro lo smarrimento di Laura, decide di lasciare all'apparato
formale e visuale il compito di integrare il significato che le parole
non riescono più a formulare. Placido parte dalla centralità dei volti,
vivisezionati con un puzzle fisiognomico che nella sua compulsione
visiva allude al caos del reale e alla gestualità istintiva che
caratterizza tanto gli amanti - pronti ad accoppiarsi con impaziente
ferinità - quanto il misterioso carnefice. E su questa fa convergere
un'architettura sensoriale fatta di immagini (algide e perfette sotto la
direzione di Alfonso Catinari) e di suoni (presi in prestito dal canto
classico insegnato da Laura ai suoi studenti) che nel rigore e nella
compostezza dell'ordito sembrano corrispondere alla volontà di sublimare
la tragedia in un bene superiore; secondo lo spirito di Laura,
intenzionata a vedere nel torto subito la risposta, seppure travagliata e
incoerente, al desiderio di maternità finalmente esaudito.
Una
strategia che funziona fino alla sequenza dello stupro, quella che
consegna il film ad una seconda parte complicata dalla necessità di
tirare le fila dei sentimenti e delle azioni poste in essere nella fase
precendente. Costretto a spiegare le ragioni più che gli stati d'animo,
"La scelta" fa ricorso a soluzioni che esasperano l'estetica del film -
pensiamo all'invadenza della colonna sonora e ai virtuosismi di regia
come quello delle immagini girate a velocità doppia - senza però
riuscire a progredire dal punto di vista narrativo. In questo modo a
perdere plausibilità sono le ragioni del cambiamento che ad un certo
punto si produce nel rapporto di coppia messo in scena dai protagonisti,
così come rimane irrisolta la presenza di alcuni ruoli secondari; primo
fra tutti quello del commissario interpretato da Placido, in sospeso
tra la funzione assegnatagli dall'incarico istituzionale e l'altra,
attribuitagli in chiave poetica dal regista, che sembra farne, perché la
cosa non è del tutto chiara, una sorta di coscienza morale delle
vicende raccontate. A farne le spese è il potenziale drammaturgico
insito nell'opera Pirandelliana, incapace nella versione di Placido, di
incamerare persino il gradiente di coinvolgimento messogli a
disposizione dalla popolarità dei suoi attori. A conferma di quello
scollamento tra autore e spettatore a cui accennavamo all'inizio del
testo.
(pubblicata su ondacimema.it)