Il romanzo di Abraham B. Yehoshua racconta la storia di Yahir Moses, regista israeliano non proprio affermato al termine della propria carriera. L'uomo è protagonista di un'improbabile retrospettiva in una capitale della cristianità, Santiago de Compostela. Vi si reca con Ruth, l'attrice protagonista della sua cinematografia e lì apprende con stupore (e, direi, con sgomento) che i titoli in programma sono quelli della sua giovinezza, quando a scrivere le sceneggiature era un suo ex alunno, Shaul Trigano, a suo tempo amante di Ruth. Film dimenticati in parte o del tutto, film poco significativi, quasi rinnegati dal regista in nome di un rapporto che si interruppe e fece del male a tutti coloro che furono coinvolti nella loro produzione.
La prima parte de La scena perduta di Abraham Yehoshua è un inseguimento a storie senza autore, a nomi dimenticati, a vicende senza esito. Yair e Ruth guardano perplessi i loro film doppiati in una lingua del tutto ignota, senza riuscire a capirci quasi nulla o a ricordare trame, motivi e sviluppi per difendere quelle opere: di fronte hanno un pubblico di appassionati ed esperti di cinema, curiosi di aspetti tecnici, dei simbolismi velati, ansiosi di sfondare la cortina del trascendente in storie surreali, quando non inverosimili. Dimentichi del proprio agire, Moses e la sua attrice, si riscoprono a doverlo giustificare. E d'altra parte, ben altra è la colpa che l'uomo è chiamato ad espiare: il taglio di una scena da una vecchia sceneggiatura rientra furtiva nell'esperienza per via di un quadro appeso nella camera del regista dove questi è ospitato.
Tra digressioni, caratteri e sottotracce, La scena perduta è in grado di convogliare una serie di ottime idee, motivi profondi di indagine su ciò che può voler dire fare i conti con le proprie ragioni, i propri silenzi, ciò che si è andato vanificando della vita nel corso degli anni. Per molti aspetti, questo romanzo continua i ragionamenti che Yehoshua portava avanti nel suggestivo Il responsabile delle risorse umane, dove si affrontava con energia ancora più lacerante il tema dell'ignoranza e dell'espiazione, il viaggio nel fondo perduto della memoria e degli alibi in base ai quali si agisce.
Yehoshua è molto bravo a squadernare le ragioni e arriva a concettualizzare diversi temi di importanza capitale nelle relazioni, nei legami affettivi, e nella dimensione del trascendente e del reale. L'autore estende la sua vicenda fino a elaborare un'allegoria grandiosa e impegnativa: gli nuoce una scrittura senz'altro verbosa, un'esplicitezza talvolta insensata, lungaggini qua e là intollerabili, che nulla aggiungono e molto vanificano in termini di concentrazione.