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Come abbiamo provato a descrivere nel post "Amore evolutivo", amore e conflitto sembrerebbero essere elementi inscindibili dell'umano e della sua possibilità/capacità di evolversi con una velocità esclusa al resto dei viventi. Lo scrittore peruviano Manuel Scorza (lo citavamo in uno dei primissimi post di questo blog: "Il grande assente") bene sintetizza questa dualità inscindibilmente intrinseca alla specie umana affermando: "La schiena dell'amore è l'odio, il petto dell'odio è l'amore.".
Siamo animali simbolici che comprendono il mondo trasformandolo creativamente e paghiamo il bellissimo prezzo di questa conoscenza obbligati a includere, per ogni comprensione, anche il suo opposto. Così siamo divenuti umani: uscendo dal paradiso terreste dove tutto era univoco per incontrare l'altra faccia della luna (secondo alcuni oscura) che il superamento della regola ci ha rivelato: «[...] E Dio impose all'uomo anche questo comando: "Di ogni albero del giardino puoi mangiare a sazietà. Ma in quanto all'albero della conoscenza del bene e del male non ne devi mangiare, poiché nel giorno in cui ne mangerai certamente dovrai morire.".» -Genesi 2:16. Superare la regola significa inventarne di nuove, significa creare e, quindi, mettersi in sfida con Dio, per questo l'atto è proibito. Ma significa anche, e soprattutto: entrate nel cortocircuito del conoscere che non si accontenta di ciò che è dato ma vuole capire e, in questo suo sforzo, produce congetture segnate, in primo luogo, da ciò che si oppone diametralmente al puro dato che osserviamo e vogliamo comprendere. Così, oltre i confini dell'Eden, ecco apparire la morte, simbolo estremo che si oppone alla vita e da cui ogni successiva bipolarità discende. Circa cinquantamila anni fa, quando i primi uomini cominciarono a tracciare strani segni sulle rocce, scoprimmo il simbolo che ci consenti di uscire dalla natura inventando "cose" (concrete o astratte) che -appunto- la simulassero o la reinventassero. Così, a partire dall'homo sapiens sapiens, l'unica e vera natura umana è la natura culturale, la sua capacità di creare e distribuire simboli nell'universo, ossia oggetti che cercano una spiegazione e la cercando unendo (dal greco "symballein”: mettere insieme) concetti opposti o apparentemente estranei col fine ultimo di formulare dei nuovi concetti più efficaci a rispondere al nostro bisogno di spiegazioni. Il simbolo è, cioè, un mediatore capace, al contempo, di dire e di non dire, di manifestarsi in una forma concreta annunciando, insieme, la molteplicità dei suoi significati. Il simbolo allaccia il visibile e l’invisibile, è l’oggetto transizionale fondamentale per elaborare l’esperienza del mondo in senso espressivo. In questa unione che il simbolo regala, si apre una comprensione profonda e non più scissa della cose, in cui i significati si danno nella loro irriducibile complessità e potenza di significazione, anzitutto a partire da quella complessità degli opposti, quella fusione dei contrari, che troppo spesso sfugge al raziocinio, ma che è fonte di un sapere profondo delle cose. Nel grande e complesso turbinio dell'esperienza umana, così come la morte non è scindibile dalla vita, ugualmente l'odio non solo è com-preso (preso dentro) nell'amore, ma deve necessariamente essere compreso (qui in senso cognitivo) affinché, nella battaglia tra opposti, l'amore trionfi e non sia annichilito dall'odio. Nell'amore, l’odio è connaturato al fondamentale pericolo che deve correre colui che ama, il pericolo che la presenza alterante dell'Altro a noi così prossimo, inghiotta la nostra identità, un pericolo di cui è necessario essere consapevoli affinché possa essere affrontato permettendo all'Altro che amiamo di compiere fino in fondo il suo dovere che non è quello di inghiottirci ma -appunto- di consentire la nostra alterazione, il nostro possibile divenire altro rispetto a ciò che siamo. L'assenza di questa consapevolezza e gli inadeguati rimedi che sembrano aver trovato gli amori contemporanei per contenere questo pericolo, sono all'origine di molte delle odierne crisi di coppia di cui ci occuperemo nei prossimi post.
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Massimo Silvano Galli
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