2003: L’esquivé di Abdel Kechiche
Grande successo di critica e di pubblico al Torino Film Festival 2004 dove ha vinto il premio per la miglior regia.
Un film che all’inizio può spiazzare e quasi procurare fastidio per il tanto parlare e il continuo movimento della macchina da ripresa a spalla perennemente e nervosamente incollata ai vari personaggi. Ma è questione di pochi minuti.
Ben presto si rimane completamente coinvolti immergendosi totalmente nella realtà che ci viene mirabilmente descritta: uno spaccato del mondo giovanile, massimamente sincero e veritiero… Quanto di meglio il grande schermo ci abbia regalato su un mondo di cui continuamente si discute ma che pochi hanno analizzato in modo così preciso come il regista tunisino che, come sottolinea Luca Baroncini, “riesce a raccontare i giovani uscendo dalla gabbia dello stereotipo” (1).
Abdel Kechiche, “uno dei più grandi autori emergenti del nostro panorama contemporaneo” (Cineblog.it), si mostra profondo conoscitore e acuto analista dell’animo giovanile. Nulla viene trascurato: le angosce e il desiderio, l’indifferenza e l’amore, l’egocentrismo e l’amicizia, la rabbia e la dolcezza, la spavalderia e l’ingenuità (“l’aggressività, spesso, nasconde timidezza e fragilità, più che vera violenza”, ha giustamente dichiarato il regista). Kechiche è abilissimo nel condurre una storia apparentemente banale (2) ma che in effetti costituisce un potente affresco di un’importante (e semisconosciuta) componente dell’odierna società. Un’adolescenza spesso in crisi, perennemente annoiata e priva di stimoli, con pochi punti di riferimento, in cerca (più o meno consapevole) di valori autentici. Un’adolescenza che trova mille difficoltà nel processo di crescita. Un pianeta sovente incomprensibile per noi adulti.
Terrificante la sequenza poliziesca, importante per comprendere la separazione col mondo dei “grandi” (3).
Strepitoso il gruppo dei ragazzi protagonisti, uno più bravo dell’altro. Tutti andrebbero citati e ricordati. Un plauso particolare a Sara Forestier: una vera rivelazione giustamente colmata di premi e riconoscimenti.
p.s.
naturalmente nella versione italiana doppiata si perde del tutto uno dei punti di forza del film: l’effetto straniante prodotto dal contrasto tra la lingua della banlieue e quella di Marivaux che i ragazzi mettono in scena, tra la lingua focosa ed esasperata degli adolescenti dell’estrema periferia e la lingua del settecento dal vivace ed elegante ritmo tipico della commedia dell’arte italiana in Francia.
note
(1) “Dalla prima scena, Krimo schiva il mondo circostante: con una scusa si sottrae agli amici, all’incontro carcerario col padre, alla parentesi porno, alla recita finale. La schivata… si rivela condizione esistenziale e cifra dolente del film, dove il protagonista evita l’altro da sé in un mosaico umano introverso e sottovoce”: così Emanuele Di Nicola spiega il titolo del film.
(2) Nella periferia parigina, nel sobborgo franco-arabo, un gruppo di studenti si prepara per la recita scolastica (si mette in scena “Giochi del caso e dell’amore” di Marivaux del 1730). Krimo capisce di essere innamorato della bella Lydia e tenta di entrare nel gruppo di attori per interpretare Arlecchino, che nell’opera di Marivaux è lo spasimante di Lisette, interpretata proprio dalla ragazza…
(3) “Due mondi si fronteggiano nel film: il mondo dei ragazzi e quello degli adulti. Il primo è ampio, variegato, fatto di conflitti e riconciliazioni, drammi e tensioni amorose, improvvisi slanci o abbandoni. Il mondo adulto è invece anonimo, distante (nessuno degli adulti del film ha un nome, nessuno viene mai nominato se non per la funzione che svolge: l’insegnante, la madre di Krimo, i poliziotti, ecc.)” (Daniele Dottorini)
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