Quello riprodotto qui sopra è lo schema che riassume i risultati di un sondaggio, «per nulla scientifico» e dallo «scopo sostanzialmente ludico», che qualche mese fa, ponendo una domanda «volutamente aperta e ambigua», Ivo Silvestro ha proposto ai suoi lettori (Che cosa è la scienza - L’estinto, 19.4.2013)per saggiare il grado di scientificità percepita di quelle discipline che per convenzione sostanzialmente unanime sul piano pratico, ancorché altamente problematica su quello teorico, costituiscono l’articolazione del sapere umano per ambiti di interesse che trovano separazione solo nella artificiale, non di rado artificiosa, fissità dei loro statuti, senza neppure riuscire a conservarla sempre
Non intendo entrare nel merito delle considerazioni che Ivo Silvestro trae da questi risultati, ma tengo a precisare che in gran parte non le condivido, riservandomi di tornarci sopra in altra occasione per argomentare il mio dissenso relativamente a due o tre affermazioni che ritengo temerarie («dubito fortemente che esista un metodo scientifico», «la filosofia è una scienza», «la medicina non è una scienza», ecc.): qui mi limiterò a considerare i risultati per la sola voce Storia, una di quella che appartengono al gruppo delle «discipline scientifiche ma non troppo»(insieme a Linguistica, Sociologia e Psicologia). Per poco più della metà dei partecipanti al sondaggio, infatti, la Storia è «per nulla scientifica» (20,83%) o «poco scientifica» (31,25%); col 25% di chi la considera «né scientifica, né non scientifica» (che faccio gran fatica a distinguere dal gruppo che per risposta ha dato «poco scientifica») si arriva al 75% di giudizi che le negano scientificità, pienamente riconosciutale solo nel 6,25% dei casi.
Ritengo che questi dati fotografino assai fedelmente
l’opinione corrente, almeno qui in Italia. E penso che anche qui siamo dinanzi ad uno dei più deleteri effetti che la filosofia di Benedetto Croce ha causato all’Italia, «un paese in cui l’egemonia è dettata da una filosofia che considera la scienza, e persino la matematica, come una sorta di menomazione dell’intelletto, frutto di menti settoriali e limitate, soprattutto se confrontata con le vette altissime di un sapere le cui leggi universali sono attingibili a livello metafisico da poche menti elette, le sole capaci di nutrirsi di arte, filosofia e letteratura, cioè degli ingredienti dell’unica cultura davvero degna di questo nome» (Armando Massarenti - La Lettura, 25.12.2011). Ma prima di passare a verificare quanto questo valga anche per la storia, cui tanti negano lo statuto di scienza, vorrei precisare:(1) L’espressione«scientificità percepita» che ho usato all’inizio di questo post non è di Ivo Silvestro, ma mia: penso non tradisca il senso che intendeva dare al suo sondaggio, ma, giacché di qui in poi la userò ancora, è opportuno che chiarisca il senso che qui le darò io, e che in buona sostanza farà riferimento al pregiudizio che trova radice nella teoria che Benedetto Croce espone ne La storia ridotta sotto il concetto generale dell’arte (1893).(2) Cercherò di evitare ambiguità di termini che possano esser fonte di controversia, e da subito faccio presente che per «scienza»e «storia» varranno esclusivamente le definizioni convenzionalmente date ai lemmi in prima accezione. Così, per «scienza», indicherò esclusivamente quel genere di disciplina fondata sull’osservazione, l’esperienza e il calcolo, e che si pone per oggetto la natura e/o l’essere vivente, avvalendosi di un metodo codificato e di un linguaggio formalizzato; per «storia», invece, farò esclusivo riferimento a quel complesso di azioni umane e di fatti ad essere conseguenti così come ordinate nel corso del tempo. Eviterò, dunque, nel primo caso, di affrontare la questione del metodo scientifico e, nel secondo, di entrare nel merito della natura del nesso causale tra azioni e tra fatti.
(3) Fin da subito mi pare corretto far presente a chi legge questi appunti che essi sono in stretta continuità con la polemica anticrociana più volte ripresa su queste pagine(cfr. Quanto rimane di Benedetto Croce, Un cane morto, Spirito con la minuscola, ecc.) e che in buona sostanza è polemica contro l’idealismo.
All’opera filosofica di Benedetto Croce resta un valore esclusivamente documentario, come uno dei vicoli ciechi in cui si è infilato il pensiero hegeliano. Chi ignori il clima culturale in cui il sistema crociano acquistò autorevolezza non può che rimanere sbalordito, oggi, nel leggere le proposizioni sulle quali regge, e chiedersi come sia stato possibile che tali astruse corbellerie, per oltre mezzo secolo, abbiano goduto dignità di assunto. Nulla rimane in piedi della costruzione crociana, ma i detriti trascinati a valle dall’onda gramsciana che la distrusse sono ancora rinvenibili negli strati profondi del senso comune, e qui e lì affiorano. Così, è molto probabile che, tra quanti affermano che la storia non è disciplina scientifica,
siano pochissimi a conoscere la teoria crociana secondo la quale «la storia deve essere arte, perché la scienza è dell’astratto, [mentre al contrario] la storia è, come l’arte, del concreto»: strabuzzerebbero gli occhi dinanzi a una affermazione del genere, ma in buona sostanza si può dire che, pur senza averne coscienza, l’accolgano (basta forzare un poco il lessico crociano, mettendo «mestiere»al posto di «arte», e può essere fatta passare).Per Benedetto Croce la relazione tra l’azione e la conoscenza del passato sta tutta e solo nel carattere simbolico della narrazione: la storia è Spirito che si fa Idea, e scriverne significa rappresentarla, darle una forma che consenta di identificarla come essenza della Verità. Di qui l’attinenza della storia alla sfera dell’arte, mentre la scienza, che sarebbe fredda astrazione, non può che dare la muta osservazione dello svolgimento dei fatti.Ecco, allora, il punto notevole della questione che oggi ritorna ribaltato nell’opinione prevalente tra i partecipanti al sondaggio di Ivo Silvestro: Benedetto Croce intende dare una specifica dignità alla storia e, nel negarle lo statuto di scienza, la eleva; nel negarglielo, oggi che la scienza si è liberata dal pregiudizio crociano, l’effetto è contrario.Non è difficile capire cosa ne consegua: se, per Benedetto Croce, la sequela dei fatti è mera cronaca e nulla ha a che fare con la storia, che invece è racconto trasfigurato e intellettualizzato dell’Idea che è ipostasi dello Spirito, per chi oggi alla storia nega statuto di scienza i fatti stanno a disposizione dell’interpretazione, e dunque sono variabili mobili di un lavoro che si riduce a continua revisione. In entrambi i casi siamo dinanzi ad una concezione della storia come rappresentazione della Verità, ma in Benedetto Croce non si è ancora rotto il vincolo che fa della realtà l’immanentizzazione di una trascendenza. Mi pare sia il modo più nefasto di continuare a far danni dopo esser morto e dimenticato.
[segue]