di Michele Marsonet. Fino a che punto si può accettare una tesi oggi piuttosto diffusa, secondo la quale il senso comune e la visione che esso ci fornisce della realtà è destinato prima o poi a essere rimpiazzato da una visione scientifica del mondo (senza del resto specificare quale?). E’ facile notare che nella vita di ogni giorno è proprio il senso comune a costituire il pilastro delle nostre azioni, e ciò comporta conseguenze rilevanti. L’uomo è “essenzialmente” un essere che concepisce se stesso nei termini dell’immagine del senso comune. E, se le cose stanno così, è necessario concludere che la concezione che egli ha della propria posizione nel mondo non si accorda facilmente con l’altra immagine (quella scientifica); la rappresentazione che l’immagine scientifica ci offre è in contrasto con quella del senso comune, nel senso che vi è tensione fra esse. Se davvero si riuscisse a elaborare un’immagine scientifica corretta e definitiva, allora gli esseri umani scoprirebbero che la loro intera esistenza si è finora basata sull’errore.
E’ importante notare, allora, che ogni argomento mirante a mostrare che gli oggetti del senso comune (o quelli scientifici) sono tutto ciò che esiste realmente, rifiutando l’esistenza di altri tipi di oggetti, opera entro la cornice del senso comune e, di conseguenza, non fornisce alcun punto di vista esterno su cui appoggiarsi. Né serve ricorrere alle nozioni di coerenza e di incoerenza, giacché una cornice può essere incoerente e, al contempo, rappresentare uno schema concettuale di successo nella pratica quotidiana. Molti problemi sorgono quando si rivendica il primato assoluto dell’immagine scientifica, facendo della scienza la misura di tutte le cose. Esempio tipico in tal senso fu Wilfrid Sellars che, all’incirca alla metà del secolo scorso, giunse ad affermare: “sono d’accordo con Kant che il mondo del senso comune è un mondo ‘fenomenico’, ma suggerisco che sono gli ‘oggetti scientifici’, piuttosto che gli inconoscibili metafisici, a costituire le vere cose-in-sé”.
Un quadro come quello proposto dai sostenitori della validità incondizionata dell’immagine scientifica (ripeto: senza specificare quale) acquisterebbe senso soltanto se la scienza fosse qualcosa di “neutrale”. Tuttavia essa è sempre il risultato delle nostre indagini sulla natura, e questa è, inevitabilmente, una questione di transazione in cui la natura stessa è uno degli elementi coinvolti, mentre l’altro è colui che indaga. Proprio per questo non è possibile accettare a cuor leggero parafrasi che rammentano Protagora come quella che ho dianzi citato.
Torno ora all’affermazione che l’immagine del mondo del senso comune è destinata a essere sostituita da quella scientifica. In base a quali elementi si può sostenere la falsità della prima? Chiaramente, siamo autorizzati a compiere tale mossa solo adottando una visione teleologica della scienza, e cioè ammettendo la plausibilità di una teoria finale. Tuttavia si deve pure notare che, per far questo, è necessario prendere in considerazione il senso comune così come esso si presenterebbe quando avessimo a disposizione una scienza conclusa capace di proporsi come autentica rivale. Poiché lo stato della scienza è caratterizzato dal divenire e non dall’immobilità, ne consegue che la nostra scienza attuale non può avere la forza di rimpiazzare il senso comune.
Appare infatti assurdo porre a confronto la scienza completa del futuro con l’immagine del senso comune attuale. Innanzitutto non sappiamo in quale veste si manifesterà la scienza futura e, in secondo luogo, non possiamo davvero escludere la possibilità che l’immagine del senso comune continui a svilupparsi, di conserva con quella scientifica. E’ giocoforza concludere, pertanto, che il secondo elemento della comparazione deve essere l’immagine scientifica “nel suo ultimo stadio possibile”, giacché nient’altro potrebbe svolgere quel compito.
Chiedo ora: in quale contesto dobbiamo andare a cercare i principi che autorizzano ad abbandonare uno schema concettuale in favore di un altro? La risposta è che tale contesto altro non può essere che quello del senso comune. Qualsiasi tentativo di affinare e rendere più preciso lo schema del senso comune è in primo luogo determinato dalla necessità di “agire”, il che significa da bisogni di tipo pragmatico. In altri termini, non ci imbarcheremmo in un’impresa così difficile se affinamento e maggiore precisione non avessero lo scopo primario di rendere lo schema concettuale generale che utilizziamo più adatto alle nostre necessità pratiche.
In effetti il senso comune costituisce il contesto generale al cui interno vanno rintracciati gli esordi della scienza. Non solo: si può ipotizzare che il senso comune abbia dato inizio all’impresa scientifica ritenendo che essa gli avrebbe fornito indicazioni preziose sul rapporto uomo-mondo; anche il senso comune, infatti, ha bisogno di rispondere alle fondamentali domande (e sono domande di tipo metafisico) circa la struttura della realtà. Ciò significa che esso è in grado di assimilare le novità introdotte dalla scienza se si dimostrano in effetti adeguate a rispondere ai quesiti di cui sopra.
Dunque, supporre che il senso comune stia fermo mentre l’immagine scientifica evolve è una semplice assurdità, poiché esso è pienamente coinvolto dagli stessi mutamenti che riguardano la scienza. Il senso comune contiene credenze e, come la scienza, teorie, le quali vengono costantemente abbandonate oppure accettate e sviluppate; in conseguenza di ciò, l’immagine del mondo cui dà vita cambia in continuazione e più o meno rapidamente a seconda delle varie epoche. Non v’è davvero alcun motivo di negare che il senso comune sia pronto ad accettare una teoria scientifica se essa risulta convincente. Tra senso comune e scienza non vi sono dunque soltanto rapporti conflittuali e di opposizione (pur presenti), ma anche, e soprattutto, rapporti d’interscambio e di collaborazione. Una delle principali attività del senso comune è proprio la verifica e l’accettazione della scienza. Senza dubbio ciò comporta un continuo affinamento della sua base concettuale, affinamento che è del resto percepibile nella nostra esperienza quotidiana.
Se l’accettazione dei risultati scientifici avviene facendo ricorso ai principi del senso comune, e se, per di più, tale accettazione risulta indispensabile ai fini della nostra comprensione del ruolo della scienza, è fuorviante pensare che l’immagine scientifica sia destinata a sostituire ogni altra cornice concettuale. Al contrario, la scienza viene promossa dal senso comune proprio perché il nostro bisogno di conoscenza è determinato dalla necessità di agire nel mondo. Lo scienziato che dice “la materia è un mito”, nella vita quotidiana si comporta come tutti noi, senza abbandonare le categorie usuali, in quanto sono queste ultime a fornire la rappresentazione che abbiamo di noi stessi. Pertanto il senso comune (e il suo linguaggio) funziona come una sorta di “camera di compensazione” tra scienziato e scienziato, e tra scienziato e uomo della strada.
Il senso comune, insomma, è presupposto in ogni caso: se la possibilità di costruire una teoria finale destinata a sostituirlo dipende a sua volta dalla possibilità della sua adozione sul piano razionale, tale sostituzione è priva di significato. Il senso comune è sempre il motore dell’intera operazione, dal momento che usa l’immagine generata dalla scienza. La conclusione che si può trarre è che, considerata la nostra struttura fisica, e visto che la nostra vita si svolge in un mondo che è piuttosto diverso da quello rappresentato dalla nostra scienza attuale, i tentativi di ottenere una sorta di “disboscamento” a livello ontologico tendono a ipersemplificare una situazione che è di per sé assai complicata.
Mi chiedo pertanto: fino a che punto la scienza rappresenta il mondo? Descrive veramente in modo adeguato la natura da un lato, e noi e i nostri rapporti con il mondo dall’altro? Ci fornisce realmente un’immagine esatta e accurata? Naturalmente simili domande revocano in dubbio una presupposizione di fondo che spesso non viene esplicitata. Si suppone, in altri termini, che la scienza “rappresenti”, che ci fornisca una visione complessiva: la cosiddetta immagine scientifica del mondo. Ed è noto che gli stessi scienziati parlano di visione scientifica del mondo almeno a partire da Galileo. Si tratta quindi di un modo comune di parlare; ci viene spontaneo immaginare visioni del mondo complessive perché si tratta di espressioni che appartengono alla storia stessa della filosofia e della scienza occidentali. Tuttavia, non sempre le espressioni spontanee riflettono fatti realmente esistenti.
All’immagine scientifica, che è il mondo come viene descritto dalla scienza, si contrappone l’immagine del senso comune, il mondo così come ci si mostra nella vita di ogni giorno. L’immagine scientifica ci fornisce una rappresentazione assai diversa da come le cose ci appaiono. Eppure la scienza si propone di rappresentare, come il senso comune, proprio la realtà in cui noi tutti viviamo. Si tratta, in fondo, di un discorso contiguo all’idealismo. Sostenere l’inferiorità e l’eliminabilità dell’immagine del senso comune significa in sostanza dire che tutto ciò che ci circonda è pura illusione, mera apparenza e non realtà. E il tema non è certo nuovo. Basti pensare a idealisti britannici del XIX secolo come Bradley e McTaggart.
E se non vi fossero “entità” (rappresentazioni, teorie, schemi concettuali, etc.) come l’immagine del senso comune o quella scientifica? In altre parole: si provi ad adottare una qualche forma di scetticismo a proposito delle immagini del mondo, delle cornici concettuali, dei “mondi” cui si pensa di dar vita parlando del “mondo della scienza”, del “mondo del senso comune”, e via dicendo. Rammento che, secondo i sostenitori della validità incondizionata dell’immagine scientifica, la linea divisoria è data dal fatto che essa è caratterizzata dalla postulazione, mentre quella del senso comune non contiene entità postulate, ma solo cose sperimentate, per quanto descritte in modo errato. Agendo in questo modo, tuttavia, si toglie al senso comune l’intera dimensione delle analogie, delle metafore, seguite dalla personificazione e dalla reificazione, che hanno sempre riempito il nostro mondo di grandi quantità di enti postulati. E ciò che sottende questa dinamica è proprio l’esigenza di spiegare.
In realtà il senso comune, piuttosto che un’immagine o cornice, è una procedura di tipo razionale, che ci spinge a mantenere tenacemente le nostre attuali credenze fin quando non vi sia abbastanza evidenza per abbandonarle. I termini “immagine” e “cornice” nascondono una rigidità che non si riscontra nel nostro effettivo rapporto con il mondo circostante.
Artwork, from a painting of Immanuel Kant