Magazine Cinema
di Susanna Nicchiarelli
con Margherita Buy, Sergio Rubini
Italia 2013
Durata 92'
Gli anni di piombo sono notoriamente un nervo scoperto della storia italiana. Il cinema, nel tentativo di aiutare il paese a metabolizzarne le conseguenze, ha posto una reticenza che è il segno più tangibile di come ancora oggi le ferite non si siano rimarginate. La difficoltà di raccontare quegli anni, e soprattutto di accettare le motivazioni che li hanno prodotti, è stata acuita dal fatto che le persone chiamate a parlarne ne sono state in qualche modo coinvolte, magari tra barricate di una protesta sfuggita di mano, oppure solamente per aver provato la paura di giorni dominati dall'odio e dalla morte. L'ultimo tentativo in tal senso arriva dal festival di Roma che presenta nella sezione "Prospettive Italia" il secondo film di Susanna Nicchiarelli, "La scoperta dell'alba", ricavato con qualche cambiamento dall'omonimo libro di Walter Veltroni.
Il film racconta di una frattura temporale che, attraverso un cortocircuito telefonico, mette Caterina nelle condizioni di tornare ai tempi della sua adolescenza, entrando in comunicazione con il suo alter-ego. Allo stupore iniziale subentra quasi subito la scoperta di una serie di indizi che la portano a dubitare sulle ragioni della scomparsa del padre, un professore universitario rapito dalle Brigate Rosse per aver collaborato alla stesura di una legge che tradiva la causa del proletariato. Nel tentativo di invertire i fatti della storia, Caterina inizia ad indagare sul passato del proprio genitore per arrivare ad una scoperta che cambierà le prospettive della sua esistenza e di quella della sua famiglia.
Equamente diviso tra passato (gli anni 70) e presente, e immerso per quanto riguarda la sezione dedicata agli anni 80 nei colori e nelle musiche del periodo, "La scoperta dell'alba" più che spiegare il terrorismo e le sue conseguenze assomiglia ad un kammerspiel in cui a contare non sono tanto la narrazione dei fatti e gli sviluppi dell'intreccio, ma i rapporti tra i personaggi, le interazioni e le emozioni che li attraversano nei vari passaggi del racconto. Come se si trattasse di una nuova "recherche" in cui la possibilità di recuperare il tempo perduto funziona da catarsi rispetto ai non detti che appartengono analogamente ai protagonisti del film, ed insieme anche a quelli dello spettatore, la Nicchiarelli lavora sui due piani temporali come fossero uno solo: in questo modo evita di cascare negli stereotipi e nel coté di situazioni che normalmente accompagnano la scoperta del fantastico e dell'inverosimile, preferendo la costruzione di un'atmosfera in grado di rispecchiare il dualismo di un momento - gli anni 80 - in cui l'angoscia dello scontro armato scoloriva nella speranza di esserne finalmente usciti.
È questa la ragione di una colonna sonora da juke-box ("99 luftbollons" e "Video Killed the Radio Star" sono le due canzoni tormentoni) sovrapposta a momenti di drammatica tensione, e dell'utilizzo di corpi e di interpretazioni anomale e goffamente divertenti, come quelle del chitarrista del gruppo musicale prodotto dalla sorella di Caterina (ad impersonarlo è lo stralunato attore de "L'ultimo terrestre"), imbranato e debilitato dai mal di pancia provocate dalle cozze che continua a mangiare nonostante ne sia allergico, oppure del marito della protagonista (Sergio Rubini, nuovamente arruolato in un film della regista), un disegnatore di cartoni animati con la testa fra le nuvole ed ignaro dei turbamenti della moglie che a sua insaputa si ritroverà sul punto di lasciarlo. Allo stesso tempo rende tangibile la paura e i dubbi della protagonista con ralenti e carrellate in avanti e all'indietro che enfatizzano il senso di perdita e l'alienazione provocato dalla vertigine di una realtà che si va ridisegnando di fronte agli occhi di Caterina.
Se la scelta di drammatizzare maggiormente i conflitti interiori rispetto a quelli materiali - quando la violenza presente è filtrata dal ricordo e dalla distanza temporale - è strutturale alla genesi dell'opera, per cui, di fatto, risulta più scioccante scoprire il tradimento del genitore che la morte di un uomo innocente, "La scoperta dell'alba" non riesce ad essere efficace laddove vorrebbe. A risultare troppo debole non è solamente il meccanismo che dovrebbe provocare la sospensione di incredulità, dato per scontato troppo presto e più simile a una regressione psicanalitica, ma anche lo spessore dei personaggi secondari, quelli funzionali ad oggettivare il tormento interiore della protagonista. Così, in mancanza di una vera dialettica, "La scoperta dell'alba" finisce per girare su se stesso, indugiando all'infinito sullo sbigottimento dell'umanità di cui racconta, ma senza riuscire ad argomentarne le ragioni. Un'occasione mancata e la conferma che certe cose sono ancora troppo recenti perché tutti ne abbiano il necessario distacco.
(pubblicato su ondacinema.it)
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