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La scrittura come rappresentazione di sé e del mondo

Creato il 12 settembre 2011 da Pasquale Allegro

La scrittura come rappresentazione di sé e del mondo Tommaso Cozzitorto è un critico letterario lametino, scrive d’arte e di letteratura e ne fa una professione e una testimonianza dell’essere. “Palcoscenico” è infatti la sua occasione di rappresentarsi il mondo così come vorrebbe raccontarselo. “Ho espresso i capisaldi. Ho costruito le colonne portanti”, è la chiusa del racconto Geografie dell’anima, raccolta di pensieri e aneddoti circa il proprio vissuto di fanciullo ancor prima che da professionista dell’estetica.
Oltre a questo autobiografico excursus analitico nei meandri della psicologia dei propri trascorsi, il libro, uscito per i tipi della casa editrice “Fratelli Gigliotti”, arricchito dalla riproduzione di alcuni dipinti della pittrice Melina Palaia Cataldi, comprende i monologhi Caro Pavese e Palcoscenico e il saggio sul romanzo Non entrare nel campo degli orfani di Enzo Siciliano.
Tratto peculiare che accumuna i testi è l’immagine dell’Artista come figura immersa in una condizione estetica risolta secondo le circostanze nefaste di una maledizione creativa, nella tipica difficoltà che comporta scindere la propria identità di individuo umano dal ruolo di creatore d’opera.
Così come l’attore protagonista di Palcoscenico uccide l’Uomo che era per lasciare vivere l’Arte, per diventare Arte, rappresentazione di se stesso; lasciando che pronunci: “E’ bastardo il mio talento e vive solo per te”, Cozzitorto traduce il grido shakespeariano per cui “tutto il mondo è un palcoscenico!”
In una sorte di solitudine da rapimento estetico, l’attore resta così inchiodato all’Arte, fetida matrigna, trasformando la propria nevrosi da momento rappresentativo in un modello di nichilismo contemporaneo in cui si gettano le basi di quell’impresa esistenzialista che ha dato l’annunzio di un uomo che si ritrova del tutto solo, senza riferimenti né domande: “Sartre mi soffia dentro”.
In conseguenza di un’epidermica metamorfosi kafkiana, lo scrittore-artista protagonista di Palcoscenico resta come inchiodato alla proprie pagine e alle proprie parole, pagine bianche e parole vuote, così come rimane schiacciato sotto l’acume arroventato dei chiodi dell’incapacità comunicativa l’attore del monologo finale. In Caro Pavese, insinuando un immaginario scambio epistolare con il grande autore di "La luna e i falò", Cozzitorto riconosce nella sconfitta della parola significante i motivi che hanno portato Pavese a intraprendere quel viaggio maledetto destinato all’incontro con il Mostro che divora l’Uomo per restituire la Tragedia dell’esistenza, momento in cui tutto è trasfigurato: “[...] le parole non ti bastavano più e ti sembravano, ormai, uguali a se stesse [...] non sussultavi al fragore del loro rompersi e guardavi i cocci sapendo che il raccoglierli era vano. In quei cocci era l’essenza del tuo esistere, intanto preparavi il Tuo viaggio”.
Cozzitorto conduce dunque il lettore a riconoscere empaticamente l’incompatibilità esistente tra l’artista e la sua azione artistica, tra l’artista e la sua inettitudine a comportarsi da spirito ancorato alla realtà delle cose, in cui un uomo è tale perché riesce a rappresentarsi il mondo anche estetico come altro da sé, in modo che le proprie ragioni, i propri valori, possano recepire l’angoscia creativa e possano permettere una sorta di ormeggio psicologico e di riparazione sentimentale.
Pertanto, l’attore di questa tragedia inscenata dall’autore lametino nel suo delizioso esercizio narrativo può incautamente declamare di non essere più uomo perché lui è l’Uomo, di non far parte della storia perché lui è la Storia, è la Tragedia, è il Teatro, è Palcoscenico.
Vale la pena di leggere quest’agile libriccino, soprattutto per ridare vita e respiro ad un’idea di scrittura e di arte che segnali l’importanza della libertà e, allo stesso tempo, del pericolo di una bulimica rappresentazione dell’estro creativo; in un esercizio poetico e narrativo in cui Tommaso Cozzitorto restituisce intatta tutta la sua joie de vivre sulla soglia tra la pagina bianca e lo spruzzo d’inchiostro.
In un’associazione di corrispondenze letterarie che va dalla delicatezza lirica di Shakespeare fino al realismo disincantato di Hemingway, dalla tentazione fallita di eludere pavesianamente l’idilliaco paesaggio del romanticismo narrativo alla sopportazione leopardiana di un infinito sempre ripescato tra i ricordi e sempre rinviato ad un nuovo sogno ancora.
Applausi a scena aperta, giù il sipario.
Titolo: Palcoscenico
Autore: Tommaso Cozzitorto
Editore: Gigliotti Editore
Data di pubblicazione: 2011
Pagine: 82
Prezzo: € 12,00

Da “Il Lametino”, 10 settembre 2011


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