La scrittura è fonte di benessere anche quando non placa,non può estinguere, il dolore. Poiché riconferisce una dignità,una storia,una rimembranza a coloro di cui narra.Si rivela così una inusuale cura e persino un apprendimento,introducendo uno "scandalo" in ogni banalità del male e della morte, per il solo fatto che ostacola la dimenticanza e ogni amnesia,ad essa opponendosi e resistendo.
Si rivela un gesto di riconoscenza,di risarcimento,di restituzione simbolica per il tramite delle parole a chi purtroppo non potrà più ascoltarle che, in tal modo, vengono rivolte simbolicamente a lui o a lei e a ciò che, se scomparisse del tutto,condurrebbe alla negazione e alla cancellazione di ogni nostra presenza e legittimazione.
Anche praticata a molta distanza dalla scomparsa della persona cara o la cui dipartita ci turbò profondamente,questa forma ulteriore di scrittura si configura come un gesto di "riconoscenza".Quel ricordo,quella presenza umana perdurante o di passaggio dalla nostra vita alla cui morte assistemmo o della quale apprendemmo entra a far parte di chi scrive di sé in veste di un tributo dovuto.Non solo perché,assai frequentemente,quella figura di fu maestra,ci aiutò,condivise con noi qualche momento di vita,ma perché anche soltanto quella apparizione lunga o fugace nella nostra vicenda fu fonte di piacere,di bellezza,di avventura.Sul piano della coscienza umana,civile,etica e spirituale, la scrittura ci riconsegna così ad una ragione di vita ulteriore.
Fare in modo che almeno noi non si debba dimenticare chi è scomparso,di cui nessun altro, tranne noi, forse potrà scrivere:questo è l'intento.Scrivere all'inizio,durante,alla fine di uno stato di dolore annunciato e poi duramente vissuto, o con una difficile e rara serenità ,è già un ricominciare a sperare e a vivere;è un aggrapparsi alla volontà di esserci senza brutali,quanto inutili,pretese di abolizione della memoria.Corrispondente ad un autocancellarsi.
Duccio Demetrio